Per Martin Heidegger, pensare autenticamente l’ente significa indulgere in quella ri-evocazione che consente al pensiero-rammemorante (An-denken) di non obliarne la costitutiva o fondamentale Differenza con l’Essere, invece di immediatamente oggettivarlo quale semplice presenza disponibile al pensiero che calcola e tutto manipola. Nondimeno, nella celebre vox media del genitivo latino, il Pensiero è dell’essere, ovvero, a un medesimo tempo, pensa l’essere (oggettivo) e all’essere appartiene (soggettivo). Pertanto, indulgere nel pensiero che rammemora la Dia-vergenza ontologica significa, simultanemante, trattenersi col pensiero presso l’attesa del dis-chiudimento di quella configurazione dell’Essere che consente il pensare che precisamente lo rammemora come Altro-dall’ente, epperò in detta medesima configurazione. Ecco che il pensare co-implica già l’atto di gratitudine e attesa protesa verso il dis-velamento a venire dell’Essere quale Non-ente. Denken ist danken: pensare è ringraziare, e rammemorare è già guardare al futuro, puntare all’avvento.
Nel 1978, poco dopo la morte del presidente DC, Leonardo Sciascia pubblica L’affaire Moro. Il pamphlet prende principio con un dialogo ideale tra l’autore e l’eidolon dell’amico Pasolini, evocato dall’epifania di una lucciola “antica”, già compianta per la propria sineddotica scomparsa dal sodale poeta che non è più.
Il prologo, che rammemora insieme l’amico “fraterno e lontano” e la sua rammemorazione elegiaca dell’Italia che fu, contiene queste parole, di affetto a un tempo e di battaglia: “Con Pasolini. Per Pasolini”.
Bene, protetti, esortati e condotti da queste apparizioni tutelari, tentiamo teurgicamente la rammemorazione dell’ormai antica ipercalisse pasoliniana contenuta negli articoli, apparsi originariamente sul Corriere della Sera e poi confluiti nella silloge “polemistica” Scritti Corsari (Garzanti, novembre 1975), “Contro i capelli lungi” (7 gennaio 1973) e “Il «folle» slogan dei jeans Jesus” (17 maggio 1973); dell’antico suo dimostramento analitico-concettuale, certo, ma anzitutto del proprio pathos, indignato, scandalizzato, contestatore.
Il primo articolo “racconta” dunque, semiologicamente, la parabola – icastica – dei capelli lunghi, il loro trasmutare ossia da simbolo contro-culturale, di protesta contro la società borghese e il suo conformismo, a emblema dell’appartenenza all’avanguardia stessa del nuovo Potere, a icona epperò di perfetta e perfettamente coerente conformazione al nuovo paradigma assiologico; racconta quindi – allegoricamente, attraverso “il segno dei corpi”, per tramite dell’epifenomeno “estetico” – la vicenda più astratta della trasmutazione della società nel suo complesso o, più “essenzialmente”, della trasmutazione della Borghesia, cioè del Potere, e a punto del proprio orizzonte valoriale di riferimento.
Il secondo articolo, invece, dalla celebre semiologia corporea pasoliniana, si sposta all’analisi di un particolare linguaggio verbale, si colloca ossia presso il luogo del dire (Er-ort-erung) del claim pubblicitario, discrasicamente e tecnico-pragmatico (denotativamente comunicativo) ed estetico-artistico (connotativamente espressivo). Anche in questa seconda discussione pubblica, Pasolini ci racconta la parabola della scomparsa di qualcosa per omologazione a qualcos’altro.
In questa seconda occorrenza, la trasmutazione investe il ruolo ricoperto dal Sacro – e del suo darsi istituzionale nel “Secolo” – all’interno della società moderna e del medesimo intorno valoriale borghese, sempre più ponente se stesso come omniafferrante e incontraddittorio, nuova religione a carattere ecumenico e assoluto, nuova rivelazione ancor più pericolosa, per Pasolini, di ogni deriva autoritario-teocratica proprio perché mostrantesi col volto compassionevole e misericordioso del relativo, dell’inclusivo, dell’irenico, dell’eudaimonico, dell’eleuterico, dell’emancipativo.
Orbene, dalle profezie eretiche e luterane pasoliniane distiamo ormai mezzo secolo: possiamo noi, pertanto, ora, alle soglie del 2021, indulgere oziosamente nella sterile rammemorazione di uno “scandalo” che fu il suo, di uno thauma che non è più il nostro e che non più il nostro può essere?
Nessuno di noi contemporanei, infatti, ad eccezione forse di taluni “meta-storici” “laudatori del tempo che fu aureo”, potrebbe mai meravigliarsi di uno slogan pubblicitario che echeggiasse, irridesse e anzitutto sfruttasse commercialmente il Sacro, né, parimenti, della capacità del consumismo capitalistico di assorbire nella propria costitutiva antiticipità politropa ogni opposizione a sé, trasmutandola in fonte di lucro, quindi immediatamente cooptandola entro l’orizzonte del sé e della sua coerenza distintiva (sia elevato, solo per la propria icasticità, l’esempio delle T-shirt con l’effige di Che Guevara).
E, tuttavia, contrappassisticamente trasmutando l’inautenticità dello scandalo su cui si basa l’arte borghese e la pubblicità della società edonistico-consumistica, nell’autenticità dello scandalo che il Sacro stesso incarna rispetto a ciò che immediatamente si dà nell’al-di-qua dell’esplosione improvvisa Sua che tutto-abbaglia (pro-fano), dobbiamo noi perseverare nella conservazione della disposizione alla pensante rammemorazione dell’Alterità assoluta, proprio poiché è essa stessa principiale, causativa e fondamentale Differenza ad attraversare – oggi – il tempo dell’agonia del sé, la stazione cruciale ovvero pressoché conclusiva e viepiù compiuta dell’estrinseca contrarietà al sé (Sichheit, Geschichte, Sein) dell’in-sé (Ansichheit, Geschick, Sollen) Contrarietà, Estremità, Steresi, Avvento, l’ultima epperò o la golgotea entificazione o deposizione configurazionale dell’altro lungo il Sentiero del Giorno, del differente, del contraddittorio, del corrusco, dell’essere, dell’atto, del presente.
Con Pasolini dunque, e per Pasolini analizziamo lo slogan e il messaggio della campagna in questi giorni diffusa da una celebre corporation del chimico persona: “Perchè non importa chi sei, che capelli hai o che capelli desideri. Pantene ti sostiene.”
Prima di procedere con l’analisi, e prima ancora di concederci alla presa voluttuosa dell’ostensione che dà testimonianza allo “scandalo”…
… lasciamo che la ripresa della stampa cosiddetta main stream ci aiuti nel comprendere l’importanza universale (sive globale o multinazionale) di questa campagna, tanto umanitaria quanto filantropicamente disinteressata:
Conosciamo ormai da diversi decenni la retorica del discorso del “Potere del nostro Tempo”, retorica fintamente buonista e ipocritamente inclusivista (per il Capitale, gli appartenenti alla cosiddetta comunità LGBTQI+, come individui, ossia al netto dell’essenza morfoclasta che ipostatizzano come “insieme” – essenza coerente allo stesso nostro attuale Zeitgeist, fluido e antitipico, caotico e aoristo, ulicamente riottoso ossia a qualsivoglia cosmizzante distinzione eidetica –, sono semplicemente quote di mercato, cluster di consumatori, e proprio in quanto tali devono essere emancipati ed eguagliati agli altri consumatori eterosessuali, come ossia e in quanto consumatori con pieno e paritario diritto di accesso al godimento e all’acquisto compulsivo e costante di beni e servizi pressoché adiafori), retorica qui quasi scientemente ripresa in molte occorrenze del proprio molteplice darsi, con necessità innervato all’Uno deuteriore dell’Indistinto:
Se dunque ben ormai conosciamo che cosa – in Verità – celi la retorica di questo discorso del nulla inautentico (la voce genitivale pro-clama il nulla inautentico in modo parimenti [enantio-]mediale: il discorso è del nulla inautentico, poiché, a un medesimo tempo, e dice dell’Indistinzione, e all’Indistinzione stessa appartiene: il Capitalismo non è null’altro, infatti, si è più volte fondato, che l’Ur-Gestalt della civilizzazione manchesteriana della Kultur di Faust, del contro-movimento ovvero dell’epoca apollinea con la quale si dà principio all’Era deuteriore dell’Originario o cronotopo dell’Aoristia compatta e conciliata), perché darne dello scandalo suo ulteriormente ostensiva testimonianza con lo scandalo dell'Alterità ascetica del corpo nudo ostenso e della carne trasfossa in voluttà di martirio di pasoliniana rammemorazione?
Semplicemente perché il pathos dello scandalo – inautetico o a punto “civilizzato”, cioè trans-mutato dall’ubertosità della Ge-scichte alla sterilità della Ge-stell –, almo alimenta e ai più atro esso stesso discorso (épater le bourgeois), de-sacralizzando, sive de-potenziando e viepiù “anestetizzando” o annichilendo, la possibilità medesima dell’ex-plosione dell’etero-dossia, dell’Ex-centricità-in-sé ovvero o della Differenza assoluta di cui il Sacro stesso, autenticamente compreso, è Figurazione (Gestaltung).
Sbalorditi e storditi dalle molte voci e dalle mille luci della moda e dell’advertising e dal loro pathos illuministico dell’antecedenza, della novità continua, della rottura di schemi e tradizioni, e della plusvalenza di una diversità precisamente e puntualmente sempre intesa giacché neutralità an-identitaria o nientità indistinta (“no gender”) che tutto omni-afferra e omologa nell’identitario suo sottrarsi a qualsivoglia forma distintiva che salda invece stando conquisti onticità nel di-partire l’alterità tutta dalla coalescenza del sé, non sappiamo più udire la voce del Sacro, dell’Assolutamente Altro (Ganz Anderes), non sappiamo più ritrovare il cammino verso il linguaggio (Der Weg zur Sprache) dell’Essere come DIA-ferenza-dall’ente, dal pro-fano, viepiù dimentichi ormai, come siamo, del suo stesso oblio.
Solo riconquistandoci alla disponibilità dello Thauma e della sua presa conquistatrice, solo nella rammemorazione della Differenza originaria dall’ente, potremmo scacciare l’attuale nostra afasia assuefatta e lotofaga, e riafferrarci a quell’arditezza che osi proclamare: “non fu così sempre, non sarà necessariamente così per sempre: un Orizzonte Altro è stato, un Altro Orizzonte è possibile ancora”.
Solo riappropriandoci ovvero dell’esclusivamente nostra capacità di non-conciliarci mai con l’Essere-in-sé e scandalizzarci per questo “mondo che a noi, ultimi depositari di una visione molteplice, magmatica, religiosa e razionale della vita, appare come un mondo di morte”, potremo continuare a di-morare presso il Destino, se ancora un De-stino ci ad-tende, potremmo ossia continuare a com-piere la Storia-dell’Essere, epperò per-sistere presso la nostra quadruplice (Geviert) essenza che ha-sempre-da-essere-ancora, che da mortale (Sterblichen) e ctonia (Erde) tende all’Olimpo (Himmel) inclito (Göttern): Kléos Ouranòn ikánei.