Secondo l’etologo austriaco Konrad Lorenz “la percezione ottica della profondità spaziale e della direzione assume un ruolo particolarmente importante nell’orientamento dei vertebrati superiori […]. Negli animali che si orientano per mezzo della visione binoculare la localizzazione avviene prima del movimento […]. A questa fase di orientamento segue poi la fase del movimento, che è già completamente orientato e programmato […]. La funzione primaria della percezione binoculare della profondità è quella di puntare sulla preda” (L’altra faccia dello specchio. Per una storia naturale della conoscenza, Adelphi, Milano 1991, pp. 381–382. Die Rückseite des Spiegels. Versuch einer Naturgeschichte menschlichen Erkennens, Piper 1973).
Negli ominidi pertanto, non soltanto primariamente si dà l’estensione di uno spazio libero che antecede l’atto stesso di ciascun possibile movimento ulteriore, non soltanto ebbene l’orizzonte negato da ogni successivo possesso (Héxis) vettoriale, dunque da qualsivoglia pienezza cinetica discreta, si pre-distende a offrire la vacuità della propria privazione (Stérēsis), anzitutto de-vasta o apofaticamente continua, il tutto dell’individuazione positiva avvolgente e legante, bensì questa stessa elongazione circolare a priori omnidelimitante dispiegatasi, risulta dischiusa e disvolta a partire dal punto estremo della profondità (Ólympos Éschatos), orientata dunque verso la direzione dell’originaria inestensione già nell’ultima remotezza affissatasi (Ent-fernung) l’eveniente ad attendere, tanto che, nel pensiero e nella parola, perimetro e punto di fuga o fuoco dell’azione convergono sino a confondersi nell’uno che dice Horízōntos (Kýklos).
Heidegger, altresì, nel saggio Il linguaggio nella poesia. Il luogo del poema di Georg Trakl (In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1973. Die Sprache im Gedicht, Eine ErÖrterung von Georg Trakls Gedicht, 1953) ci ricorda come nell’antica lingua tedesca, il “Luogo” era designato quale “l’insieme delle parti riunite a esordire dal punto dell’estremità”:
Non dunque, muovendomi distanzio – sincronicamente – via via da me un mondo, e non solo la forma dello spazio precede, quale idealità trascendentale, ogni esperienza sensibile posteriore, ma tale precondizione di qualsivoglia mozione successiva risulta nell’unità sin-tetica in sé divisa tra Apertura anticipazionale (Ertschlossenheit) e ob-iectivo (Télos) del momentum.
Infine, questa diadità costituente l’enade dell’appercezione spaziale trascendentale, noi indoeuropei la possiamo cogliere distinta nella successione che ordina l’intellezione topica dell’anima apollinea, fondata sulla stereometria euclidea, sulla prevalenza ovvero del piano bidimensionale, essoterico, aprico, distanziandola così e differenziandola dall’avidità di fuoco e crepuscolo che caratterizza invece il sentire faustiano, sì tanto fluidamente sitibondo di profondità e anfratti, di “strade ignote e regioni remote”.
Non possiamo pertanto se non partire da tali considerazioni fondamentali circa il nostro coimplicato già e anzitutto essere presso un mondo (In-der-Welt-Sein, Umsicht) e orientanti secondo una direzione (Worum-willen), per inquadrare il templum delle pre-esistenti o (storico-)filogenetiche possibilità stesse concesse a ciascun pro-gettante prometeico gettato.
Se, pertanto, ogni oggetto creato dipende tanto dalla Weltanschauung del proprio soggetto creatore, quanto dallo Zeitgeist in cui avviene la creazione stessa, la spazialità trans-umana prossima ventura dovrà con necessità (katà tò Chreón) o secondo l’ordine del tempo (katà tén toû Chrónou Táxis), sempre concedere fondamento o pre-delimitazione delle proprie medesime potenzialità alla nostra cis-umana spazialità: il dislivello prometeico sarà infatti concesso solo allorquando si darà non già quella macchina che, pur parimenti poietica, saprà creare una realtà attuale eccedente il perimetro del possibile poietico appartenuto al proprio creatore, bensì quella AI creante oltre il confine della potenza creativa stessa dell’Uomo-in-sé.
La recente soluzione di Google si inserisce dunque precisamente in tale sopra descritta duplicità dell’appercezione antropica spaziale, del nostro pensarci ovvero semoventi anzitutto entro e verso un Orizzonte. Prima del rilascio dell’architettura denominata Transporter Network e illustrata durante l’edizione 2020 del CoRL, l’annuale conferenza internazionale sulla Robotica e il Machine Learning, la formazione dei robot consisteva infatti nel riconoscimento, grazie a un sistema di Computer Vision, dell’oggetto da movimentare, epperò anzitutto da afferrare. Tale individuazione, tuttavia, per poter essere efficiente, esigeva la preliminare ripartizione dello scibile potenzialmente infinito degli oggetti spostabili in classi omogenee: la parte, ancora una volta, evocava la necessità dell’universale o categoriale per essere adeguatamente com-presa e non disperdersi nell’infinità della differenza particolare, nell’altrimenti annichilente meravigliosità del molteplice disuniforme.
Per poter afferrare l’oggetto A, della classe X, e spostarlo dal punto 1 al punto 2, il movimentatore meccanico doveva pertanto possedere nel proprio intelletto artificiale molte informazioni, anzitutto la relazione di appartenenza di A ad X e la relazione di pertinenza dell’oggetto A-X al punto 2 d’approdo (per collocare l’oggetto A-X nel punto 2, occorre infatti sapere che gli oggetti di classe X possono essere riposti nel punto 2). Questa mole di dati che preliminarmente il robot doveva possedere per agire rendevano (e rendono a tutt’oggi) l’impostazione del movimento di un soggetto artificiale nello spazio orientato esclusivamente dall’oggetto da afferrare, dalla preda – ebbene la spazialità faustiana – inefficiente.
Ecco che per ovviare a essa disfunzionalità, la genialità indogermanica aveva in sé – nella propria storia ovvero nella propria trascendentalità – la possibilità di attingere all’altra componente costituente l’Orizzonte antropico dell’agire spaziale, ebbene all’idea apollinea di un mondo-ambiente anzitutto circondante ogni eventuale profondità d’afferramento (Herrschaft) o punto di preda.
Non più dunque le macchine movimentatrici semoventi debbono essere istruite affinché riconoscano gli oggetti attraverso la loro pertinenza rispetto alla classe d’appartenenza, bensì sarà sufficiente d'ora innanzi insegnare loro a identificare lo spazio tridimensionale attorno a essi: non più quindi oggetti da spostare, ma spazii da ri-ordinare (Dia-Kósmēsis).
Sfruttando le simmetrie spaziali, sarà adesso pertanto possibile impartire ai software task di risistemazione vision-based: trasformando la realtà circostante in uno spazio 3D standardizzato, il robot verrà istruito non più a spostare oggetti, bensì pezzi di spazio tridimensionale nel quale rientrano gli oggetti stessi, catturando la rappresentazione topica e sovrapponendovi successivamente strati differenti per scegliere la migliore riorganizzazione possibile appresa durante la fase di addestramento. Il vantaggio di questa architettura, come detto, consisteste, da ultimo, in una più accentuata agilità formativa, nonché in una maggiore versatilità, essendo applicabile ad una gamma di task di riorganizzazione più amplia.
Nondimeno, il passaggio da un’analisi orientata verso l’oggetto a una valutazione preliminare incentrata sullo spazio circostante l’oggetto medesimo, non sarebbe mai stato possibile se, nella stessa struttura trascendentale della mente del progettante-gettato – ebbene nella nostra Storia –, non si fosse anzitutto data (es gibt) l’appercezione tanto del punto di convergenza e attrazione del movimento, quanto del preliminare distendersi tutt’attorno al soggetto e all’oggetto cinetico di uno spazio libero e vasto, non sarebbe mai stato possibile ebbene senza l’esserci affermativo originario stesso della Potenza o Negazione in totalità di ogni conseguente posizione topica discreta S-in-1 > O-in-2 o presa di possesso dello spazio steretico da parte della sopraggiungente individuazione della mozione. Anche relativamente all’appercezione spaziale ordunque, non appaiono – ancora – oltrepassate le Possibilità principiali ovvero trascendentali dell’Umano-in-sé.