In Morte e Sopravvivenza (Tod und Fortleben, 1911-1914), l’argomentazione con la quale l’antropologo tedesco Max Scheler fonda la propria tesi impegnata a dimostrare come la specificità della rimozione del morire – e dunque, per l’autore, della correlata tensione verso l’eterno ulteriore – nell’uomo occidentale moderno sia un portato tutto storico-culturale, l’eccezione particolare epperò e non la regola generale del nostro essere nel mondo, si basa sul concetto della coimplicazione tra l’evento della morte e la stessa “struttura esperienziale” dell’organico. Il decedere non sarebbe dunque una sopraggiungenza ultima, bensì l’immanenza e l’apriori empirico d’ogni vivente.
Proprio poiché, per Scheler, la morte non è il contenuto di una coscienza desta che rielabora, colmandone per congettura il concetto, i segni dell’esperienza esteriore, dal venir meno degli altri, agli epifenomeni del nostro stesso invecchiamento cellulare, bensì rappresenta l’immediatezza dell’esserci per l’organico, è la rimozione di morte a essere mediazione coscienziale, pensiero che si fa evento nella Storia oltre la pre-esistente e consustanziale disposizione del vivente verso il morire.
In Essere e Tempo (Sein und Zeit, 1927), Martin Heidegger non potrebbe percorrere – apparentemente – una direttrice tetica maggiormente differente rispetto a Max Scheler nell’analisi dell’evento esiziale. Nel celebre saggio “esistenzialista”, infatti, l’esperienza del morire è definita essere ciò che fonda la specificità individuale dell’Esserci che noi sempre siamo: solo l’uomo autenticamente muore, e muore sempre a se stesso.
E, nondimeno, per lo stesso Heidegger la morte non è mai un accidente contro il quale incappiamo esclusivamente in fine, tantomeno qualcosa che, epicureamente, non mai incontriamo, bensì, e qui consentaneamente a Scheler, rappresenta l’evento che omniavvolge la nostra esistenza, tanto che il ri-tenerla salda nel pensiero conferisce autenticità (Eigen-tlichkeit) all’Esser-ci, ci ad-propria (eigen) ovvero a noi stessi.
Nella celebre “dottrina” dell’Essere-per-la-morte (Sein-zum-Tode), la possibilità ultima del venire meno in fine dell’esistenza rappresenta difatti l’impossibilità tutto (retro-)possibilizzante, l’estremità tutto anticipante, il punto che dischiude l’orizzonte, il limes atremido apollineo-erculeo che sorregge e sprigiona, consentendola, l’aoristia equorea dinamica:
Pertanto, l’uomo, l’Esser-ci, quell’ente ossia la cui essenza – sempre storica – si dà giacché apertura della possibilità della perdita d’esistenza, quell’ente, egualmente, che, per costituzione e non per accidente, semplicemente essendo pone fondamentalmente in questione (ontologicamente) l’essere di qualcosa, anzitutto ponendo la questione del suo più proprio essere (“onticamente, esso è piuttosto caratterizzato dal fatto che, per questo ente, nel suo essere, ne va di questo essere stesso”), è nel mondo autenticamente nella misura in cui si de-cide anticipatamente per la solo sua più propria possibilità, ossia per l’impossibilità estrema di essere ancora oltre.
Tale De-cisione anticipatrice (Vorlaufende Ent-schlossenheit) per l’impossibilità assoluta dell’ulteriorità dal non-essere di ogni Esserci autenticamente essenteci, com-porta l’Apertura (Er-schlossenheit) originaria dell’esistenza, la possibilità ebbene che all’uomo sia dischiuso un Mondo, un Avvenire, l’incontro con gli altri Esserci (Mit-Sein), l’incontro con gli enti intramondani semplicemente presenti e chiusi al mondo-ambiente: tale Apertura è il carattere ex-statico originario dell’ex-sistenza umana.
Riassumendo, e collazionando le posizioni dei due studiosi tedeschi qui espresse: senza la morte, non vi sarebbe per l’uomo alcuna possibilità, alcun futuro, alcun mondo, alcuna ex-sistenza, alcun pro-getto, alcuna de-cisione. La morte non è un evento che esperiamo esternamente, bensì la direzione di morte è ciò che caratterizza tutti “i gradi dell’organico e l’uomo” (H. Plessner).
Non dissimilmente, da ultimo, Carl Schmitt intesse bicondizione tra Decisione e Niente. Nella celebre – e tanto nell’oggi pandemico spesso citata, seppur spesso citata inadeguatamente… – affermazione circa la sovranità e i suoi fondamenti, il giurista di Plettenberg dichiara, infatti, che sovrano è colui che decide sullo stato di eccezione. Lo stato di eccezione è il fondamento che legittima la sovranità poiché è il nulla-della-legalità, ovvero del già esserci della legge, dell’attualità sub specie iuris. L’atto della decisione sovrana, pertanto, è autoctisi del potere (Legitimität), ovvero, sul piano teologico, miracolo (emersione ossia del Dio e della sua omnipotenza nella sospensione di ogni pregressa legge di natura). Lo stato di eccezione è precisamente ciò che rende nullo ogni fondamento di legalità della decisione sovrana, pertanto immediatamente autolegittimantesi proprio se e allorquando presa sull’a-bisso della legge (ex-cezione eslege).
Ebbene, recentemente l'ex generale dell'esercito americano Stanley McChrystal ha affermato che “l'intelligenza artificiale arriverà inevitabilmente a prendere decisioni mortali sul campo di battaglia”. La possibilità è così concreta che lo scorso 13 dicembre è cominciata a Ginevra una conferenza internazionale di 125 Stati sotto l’egida ONU, finalizzata a imporre ai Governi per lo meno un codice di condotta nell’utilizzo delle Lethal autonomous weapons, quando non addirittura l’interdizione totale del loro uso.
Ora, nella nostra lingua neolatina, de-cidere deriva da caedere, ovvero “tagliar via”, re-cidere. Cosa dis-crimina il de-cidente? Autenticamente il Possibile, il poter-essere-altrimenti. Il decidente separa (Kri-No) l’atto, l’essere, dal possibile, dal non-essere; il continuo dal dis-creto (“Più in alto della realtà si trova la possibilità”): Prima che Cesare decida di varcare in armi il Rubicone, la Guerra Civile non è, ovvero è reale solo in quanto possibile. La decisione è causazione, attuazione, creazione.
Pertanto, appare chiaro come possa autenticamente de-cidere solo colui per il quale si disserra anzitutto o preliminarmente l’omniafferrante orizzonte fondativo del Possibile, dell’Altro, dell’Ulteriore, del Non-ancora, del Non-essere, dell’Estremo, del Trascendente. Ma cosa fonda l’Apertura del Possibile? L’Evento del Nulla originario, ontologicamente, antropologicamente l’accadimento prolettico del Venir-meno, l’assoluta ovvero e inconcussibile impossibilità escate tutto retropossibilizzante. Come può, dunque, autenticamente decide – e decidere eminentemente –, ovvero re-cidere questo Esserci dal suo stesso essere, decidendo del di esso essere-ancora o del suo non-più-essere alcunché, quell’ente, nel cui essere, non ne va mai del proprio esserci?
L’Intelligenza Artificiale, infatti, non mai essendo – costitutivamente, in quanto ente anorganico – in direzione della morte, non può mai autenticamente decidere. Privata – per essenza e non adiaforamente – dell’evento del Nulla, dunque del fondamento autentico di ogni esistere, il suo esserci è costitutivamente in-deciso, chiuso a quel possibile che consustanzia negativamente o privativamente (Stéresis), come un Orizzonte Ultimo (Ólympos Éschatos), l’attuazione d’ogni possesso (Héxis) individuale, la causazione d’ogni reale positivo, scevro ebbene della ri-soluzione alessandrina di quel continuo immorsato (Syn-echés) in cui l’AI stessa sempre è, secondo definizione.
E, nondimeno, questo Drone può ora e qui valutare i dati che gli provengono dall’analisi dell’intorno situazionale in cui è gettato e, se tali risultanze soddisfano i suoi (pre-)requisiti d’ingaggio, fare fuoco, uccidere.
Resta pertanto da stabilire:
1. Se l’intelligenza artificiale uccidente (Machina Necans) agisse esclusivamente secondo programmazione, dunque con corresponsione necessaria, ebbene senza alcuno spazio di scelta autonoma e decisione libera, quindi in assenza di contingenza e volizione, sarebbe il programmante – umano e omicida (Homo Necans) – a decidere il destino dell’Esserci. Umani i parametri d’ingaggio, l’arma letale “autonoma” non sarebbe semplicemente tale, rappresentando pertanto solamente la prosecuzione della guerra tradizionale con altri mezzi tecnologici, un upgrade non dissimile dalla catapulta o dall’arma atomica. Patentemente l’evento che si dischiude innanzi all’umano non rientra in tale orizzonte: per quanto prestabilito dall’uomo il perimetro dell’azione della macchina, l’azione “artificiale” dell’uccidere non consegue con immediatezza all’impulso antropico; pertanto, l’apertura di questo delta temporale (e situazionale) che inevitabilmente cambia la configurazione dell’azione esecutiva rispetto al tempo della sua progettazione originaria, concede avvento alla discrezionalità.
Ipotizzando che il terrorista X sia intendo nel tempo Y a progettare un attentato omicida, il Drone verrebbe lì e allora programmato per ucciderlo poiché la configurazione Z del tempo Y sarebbe stabilita – dall’uomo – acconcia al gesto. Ora, se il Drone uccidesse istantaneamente ovvero simultaneamente il terrorista X, la condizione per procedere oltre il nostro punto 1 non sarebbe soddisfatta: saremmo difatti di fronte semplicemente a un arma differente rispetto alla precedenti per quantità (cioè per qualità tecnologica), non secondo qualità. Egualmente, se il Drone fosse intento a uccidere il terrorista X nel tempo Y+1 e, qualora la configurazione Z+1 fosse divenuta inidonea all’esecuzione, l’uomo potesse immediatamente arrestarlo, nuovamente non soddisferemmo la condizione posta per poter parlare di decisione autonoma (certamente, per mera ipotesi logica, la nostra condizione non sarebbe soddisfatta neppure allorquando il delta temporale Y > Y+1 non aprisse disequazione tra la configurazione Z e la configurazione Z+1, ovvero se Z fosse uguale a Z+1: ma non mai entriamo nel medesimo fiume, per necessità o secondo l’ordine del Tempo).
Chi scrive non ha naturalmente contezza del grado di avanzamento della libertà concessa attualmente alle armi letali intelligenti, non sa ovviamente se – qui ed ora – l’uomo sia in grado di arrestare all’istante il drone programmato per uccidere: si congettura di sì e, nonpertanto, come affermato, sinché così sarà, la questione non investirà il dominio primo del filosofico, arrestandosi al predominio della tecnica. Tuttavia, cioè che qui traspare, anche considerando la dichiarazione dalla quale ha presso avvio il nostro ragionare, è già il farsi evento di tale prossima impossibilità di arresto immediato: è precisamente questa occorrenza ventura che qui si prende, pertanto, in considerazione per poter avanzare oltre le soglie della decisione.
Bene, se il nostro Drone si trovasse in una configurazione Z+1 (ove ovviamente, ripetiamo, Z+1 sia ≠ da Z, dunque dalla configurazione in cui, nel tempo T, fu stabilita – dal programmatore umano – la liceità dell’uccisione), sarebbe esclusivamente in capo a esso la decisione circa l’uccisione del terrorista X. In questo scenario, come affermato da noi solo ipotizzabile come sopraggiungente, la macchina compirebbe una decisione, un atto contingente di volizione. Che tale azione arbitraria sia parimenti autentica, resta ancora da stabilirlo.
2. Per quanto esposto in esordio, noi riteniamo impossibile per costituzione che la decisione del decidente “a-mortale” sia autentica. De-cidere, autenticamente, è, difatti, entificare, e solo colui il cui fondamento è il Niente-dell’ente può autenticamente creare. L’Uomo è Autoctisi, e solo l’Uomo crea, decide, progetta, esiste, non l’Eterno conseguente l’Originario e a esso vincolato, non la Physis sempre salva e dipendente dal Geist, dal Logos, dall’Ich, dal Begriff e dal di esso automovimento storico-destinale, nonché a questi trascendentalmente sempre soggetta (Herrschaft).
3. Bene, posto che trattasi di decisione e di decisione inautentica, non rimane adesso se non decidere cosa comporti per noi l’evento di un decidere libero e nondimeno inautentico in grado di porre in questione – non ponendosi tuttavia la questione di questa messa in questione – l’essere stesso di quell’ente, nel cui essere, ne va, per essenza, del proprio stesso esistere.
Da un lato, dunque, l’AI non è un ente aperto all’Erlebnis del Niente, come invece ogni ente organico e l’uomo, eminentemente; dall’altro, de-cide con arbitrio e non secondo necessità, come l’uomo, esclusivamente. Su quale fondamento, pertanto, l’AI sceglie come agire? Se, ripetiamo, agisce solamente re-agendo alla programmazione originaria, il suo agire è necessario quanto l’eliotropismo dei girasoli. Se, altresì, agisce eccedendo il perimetro imposto dal suo programmatore – e la discrezionalità valutativa situazionale è per definizione un’eccedenza, essendo im(pre)programmabile nel proprio propendere per A o per B di contro a una realtà che è niente nel tempo della programmazione (ancora: se il programmatore imputasse “tutte” le realtà possibili e per ciascuna occorrenza predeterminasse l’agire in essa della macchina, allora l’unico evento a farsi questione sarebbe la capacità della macchina di corrispondere adeguatamente al reale [adaequatio rei et intellectus], di riconoscerne la verità; e, tuttavia, non è mai possibile impedire il dischiudersi della divergenza tra configurazione del reale e modello, non è mai possibile ossia divisare tutte le realtà potenziali, bensì solo congetturarne alcune), –, allora tale oltrepassamento trova fondamento nella propria esperienza, quindi nel proprio apprendimento, ebbene nella solo sua esistenza, nella di essa AI più propria storia.
Infatti, se la macchina intelligente modula le proprie decisioni in relazione all’apprendimento, e se i dati che lo costituiscono originano dal mondo in cui essa esiste – o piuttosto funziona – risulta evidente come la medesima AI, seppur egualmente progettata, allorché formatasi tra il patriziato romano protorepubblicano, finirebbe per compiere scelte differenti rispetto a quella copia di se stessa formatasi invece tra gli yuppies newyorkesi degli anni Ottanta del Novecento, pur a parità di programmazione principiale. E questa differenza è, appunto, Storia (Ent-faltung).
È dunque il Mondo, ebbene la configurazione dell’Essere nel Tempo (o, piuttosto, per coloro che conoscono la nostra Weltanschauung, l’ordinarsi per successione partitivo-distintiva del non-essere o del contraddittorio del Ni-ente originario o della Contraddittorietà autocausativa, la Storia del Destino o il sentiero diurno della Notte estrema), in cui la lethal autonomous weapons agisce – o agirà – ciò di cui in ultimo occorre fare questione per determinare il nostro terzo punto d’analisi.
In quale configurazione, dunque, si fa evento il sopraggiungere di un ente inautenticamente decidente e nondimeno liberamente dell’esistenza stessa di quell’ente che solo autenticamente decide e liberamente proprio poiché decide sul fondamento del proprio essenziale nullo fondamento d’esistenza? Ebbene, nell’orizzonte in cui, pressoché più niente essendone del Niente aurorale, non ne deve essere più niente dell’ente distinto, anzitutto non più niente dovendo (Sollen) esserne della Dis-tinzione stessa, dunque della medesima De-cisione e del suo fondamento. Nostro infatti è il tempo della distruzione – con necessità – di ogni posizione del Necessario (Sein), nostro è il Tempo – ultimo, tardo, civilizzato, refluente – dell’Era deuteriore dell’Eterno, in cui l’essenza dell’Imperituro secondo o conseguente imprime il carattere del sé alla delezione di ogni statuizione in essere.
Sunteggiamo: prossimo è l’evento dell’ente decidente inautenticamente l’essere dell’ente autenticamente decidente poiché prossimo è l’avvento del Tempo in cui il fondamento della De-cisione autentica non più sarà.
Cosa comporterà ordunque per il Destino stesso dell’Esserci (storico), tale sopraggiungenza se non la coerentizzazione ovvero il compimento di questo medesimo Destino originario?
Non, infatti, è il venire-a-essere dell’ente decidente inautenticamente dell’essere dell’ente autenticamente decidente a determinare il sopravvenire del Tempo in cui il fondamento della De-cisione autentica non più sarà, bensì è l’e-venire meno (epoché) di questo fondamento – ebbene, ancora, del Niente-di-ogni-fondamento – a consentirne la sorgenza storica o solatia.
Poiché, infine, il venir-meno del fondamento – originario – della De-cisione autentica è coimplicato nello stesso Destino – co-originario – dell’Esserci, non sarà – mai – l’oggetto della Tecnica a compiere il Destino storico dell’Esserci, quindi del Soggetto di ogni Tecnica.
Ciò significa forse che l’uomo non deve pre-occuparsi del farsi evento delle Lethal autonomous weapons, occupandosi così di conseguenze e implicazioni derivanti dal loro utilizzo? Ebbene, sinché ci pre-occuperemo, sinché ossia ci prenderemo cura della nostra propria esistenza, sinché porremo in questione il nostro stesso esserci, non avremo mai nulla di cui autenticamente preoccuparci.