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Filosofica del 900
Rivoluzione
Conservatrice

Categorie
Rivoluzione
Conservatrice
Carl Schmitt

Appropriazione.
Divisione.
Produzione
1953


Edizione originale: Nehmen. Teilen. Weiden
Edizione italiana: Il Mulino, Bologna 1972, riedizione 2019
In, Alberto Iannelli, Dieci saggi sulla Rivoluzione Conservatrice, Orizzonte Altro Edizioni, 2023
Testo originale
► ► ►
Ogni fondazione (Oíkisis) […] trova fondamento su un’ancora più originaria e aprioristica ad-propriazione noetica dello spazio libero inseitale, ossia indeterminato, continuo, aoristo, potenziale (Chásma). Nondimeno, la stessa immensità s-confinata che principia a distendersi precisamente oltre l’aratura condente, e che principia a esistere in quanto precedentemente essenteci, diviene essa stessa parimenti a essere ovvero diviene a ciò essere, nei medesimi causativi attimo e atto della distinzione stereometrica. Infatti, l’extra-urbano, il non-sé ovvero l’aliud nell’identità, non deve essere compreso quale substrato già lì disponibile prima della partizione, dell’Urbe come dell’Io – giacché la partizione (Bestimmtheit) è l’originario e l’abissale, la De-cisione (Vorlaufende Entschlossenheit) causante tanto il decidente quanto il deciso e la loro stessa sostanza –, come se avesse a punto già, in sé e per sé, sussistenza, attualità, individualità e forma, an-und-für-sich ossia al di là della risoluzione di de-terminarne una parte, questa parte. È, invero, la stessa dis-tinzione aurorale a – ma in seguito – indeterminata e inesistente determinarla e generarla sia quale dimensione libera e infinita o incommensurabilmente estendentesi oltre questa appropriativa partizione principiale, sia in quanto antecedenza già consistente rispetto al proprio stesso generante. L’Urteilung spaziale, autenticamente intesa, è, dunque, autoctisi della Comunità: ogni fondazione trova fondamento nel solco pristino.

[…]

Ciò assialmente predisposto, tentiamo ora l’indagine circa il fondamento dell’attuale Ortung del mondo (Nomos der Erde), viepiù configurantesi quale “spazio globalmente immorsato: uno, continuo e compatto; libero e indistinto”. In particolare, seguendo l’itinerario tracciato da Carl Schmitt in Nehmen / Teilen / Weiden (Appropriazione / Divisione / Produzione, 1953), si cercherà di insertare parallelismo tra la tricotomia del suo concetto-guida Nómos – quale coimplicazione che inserra localizzazione territoriale e Ordnung giuridico, economico, politico e sociale –, e la suddivisione in tre ordini funzionali costitutiva della cosiddetta civiltà indoeuropea, nell’altrove avanzata affermazione secondo cui tale particolare “epopea di popolo” e la vicenda universale degli Homines convergano in unità e comunione d’origine, ovvero nell’ulteriore posizione per la quale la “rivoluzionaria” reductio ad unum della fondativa tripartizione indogermanica, ebbene la di essa conduzione nell’indistinto funzionale, trovi esatta corrispondenza nella parimenti storicamente inaudita enadizzazione dello spettro di significazione del medesimo Nómos, epperò dell’ordinamento giuridico e socio-economico oggi vigente entro la sinechia dello spazio mondiale, tanto, come detto, simmetricamente quanto stra-ordinariamente e uno e mai prima d’ora uno come nel Tempo che inclina verso il compimento dell’Era deuteriore o segmento della Monade seconda, e ciò al fine di condurre a manifestazione come la monadizzazione semantica del Nómos, la mondializzazione dell’ordinamento spaziale e la nullificazione della suddivisione funzionale indoeuropea coincidano nell’unità dell’evento del Moderno.

[…]

Ebbene, per tutta la storia dell’uomo, sino alla rivoluzione industriale europea del Settecento, dunque, più precisamente, sino alla trasformazione della nostra struttura economico-produttiva (Capitalismo), nonché sino alle bicondizionalmente immorsate rivoluzioni politiche franco-anglo-americane (Liberalismo), tanto l’ordine della teoria nomica fu costantemente il medesimo, quanto, e anzitutto, il Nómos stesso, come detto, non fu mai se non sempre triplicemente articolato in:
  1. Appropriazione
  2. Divisione
  3. Produzione
(Carl Schmitt)
Che la divisione e la produzione dovessero essere precedute dall’espansione coloniale, cioè dalla appropriazione e in particolare dalla appropriazione di terra era un ordine di successione che doveva apparire in se stesso, a un socialista come Lenin, medievale, per non dire atavico, reazionario, contrario al progresso e alla fine disumano […]. Questo è il punto in cui il socialismo si incontra con l’economia classica e il suo liberalismo […]. Progresso e libertà economica consistono nel fatto che le forze produttive divengono libere e in tal modo si compie un aumento tale della produzione e della massa di beni di consumo che l’appropriazione ha termine e nello stesso tempo la divisione non costituisce più un problema autonomo. Il progresso della tecnica conduce chiaramente a uno sterminato aumento della produzione. Ma se si dispone del sufficiente o addirittura di più del sufficiente, in tal caso appare come atavismo e come ricaduta nel diritto primordiale di preda, proprio di un’età di miseria, scorgere nella appropriazione il primo fondamentale presupposto dell’ordinamento economico e sociale. Il livello di vita diventa sempre più alto, la divisione diventa sempre più facile, sempre più innocua, e l’appropriazione alla fine è non solo immorale, ma anche irrazionale dal punto di vista economico e quindi insensata. Il liberalismo è una dottrina della libertà, della libertà di produzione economica, della libertà di mercato e soprattutto della regina delle libertà economiche: della libertà di consumo.

Sembrerebbe dunque che la sovversione dell’ordine di successione abbia determinato la soppressione stessa dell’articolazione immanente al Nómos, come se l’emersione primaziale ovvero l’affrancamento emancipativo di ciò che, in sé, fu solo nell’essere parte e momento del tutto, abbia comportato la soverchia sua dell’intero medesimo, l’estensione ovvero progressiva del sé sino all’avvolgimento in sé tanto dei due momenti altri, ora nientificati quali entità distinte entro l’unità che fu plurima, quanto dell’unità stessa dei tre, ormai coincidente con l’unità esclusiva di questa neo-olomorfia tutto-involvente (Umgreifende).

[…]

Se, pertanto, riediamo ora alla nostra proposta di comparazione e coincidenza nel coincentro evenemenziale che dà avvio al Moderno, tra monadizzazione del noema Nómos, mondializzazione dello Spazio interstatale e dissoluzione nell’equoreo e nel dinamico classista della distintività funzionale fondativa della società indogermanica, ci appare così preclara come adamantina la relazione di coimplicazione tra la soverchia del momento produttivo sull’appropriativo e il distributivo, e la prevaricazione dei laboratores su bellatores e oratores, cioè a dirsi, ma con lessico “post-rivoluzionario”, l’obnubilamento dell’orizzonte del Politico – in entrambe le proprie anime, nomotetica-giudicante (Díkē) ed esecutiva (Thémis) – indotto dall’orizzonte pancaliptico dell’Economico. Allo stesso modo, l’internazionalizzazione del diritto giusnaturalista, le compagnie per il commercio transnazionale, l’universalismo dell’egemonia culturale e militare anglo-franco-americana, la globalizzazione delle gendarmerie e dei tribunali, e il sovranazionalismo degli istituti intergovernativi e finanziari, con pari autoevidenza rampollano, riducendo il Mondo a Unità, dalla medesima scaturigine emancipativo-eslege del nostro Evo ultimo. Orbene, dimostrate coimplicazione e coincidenza eziologica (il Moderno), non permane ora altro compito al processo di istituzione della tesi che predica comunanza di fondamento ai tre epifenomeni di unificazione o, piuttosto, di prevaricazione qui in oggetto, se non domandare circa l’attività o la passività dell’evento affrancativo, non rimane ovvero se non indagare se la soppressione della distintività funzionale, interstatuale e intranomica, principi da un’azione autenticamente rivoluzionaria o non piuttosto derivi dalla sospensione di un precedente limite, dunque dal deliquio di un freno millenario (tò Katéchon), ebbene, non resta se non, in ultimo, domandare del carattere con cui il Moderno sopraggiunge, contingentemente a punto emergendo lungo la Seinsgeschichte oppure destinalmente.

[…]

Nonpertanto, ciò che rende capitale questa riflessione di Schmitt circa l’articolazione interna al concetto di Nόmos, unità triplicemente in sé distinta, non trova dimora, riteniamo, semplicemente nel lumeggiare come l’antica contesa per il possesso del suolo (Heimat) sia divenuta ormai lotta contro la Terra per lo sradicamento (Bodenlosigkeit) sempre più tecnicamente efficace ed efficiente della sua capacità immanente di produzione della ricchezza, ovvero controversia tra i grandi prospettori e detentori dei mezzi e dei capitali maggiormente acconci per trasformarne viepiù profittevolmente la potenza crematistica, bensì risieda nella relazione tra l’annullamento della suddivisione spaziale mondiale (Ortung) per contrazione in unità della precedente differenziazione statuale; la soppressione dell’articolazione interna di ciò (il Nόmos) che sta a fondamento di ogni ordinamento (Ordnung) comunitario; e “la confusione delle genti” ossia l’equoreità acetuale indotta dalla nullificazione della ripartizione funzionale intrasociale indoeuropea, emancipante infine l’“orgoglio” e la “dismisura” della “gente nuova”, da sempre e non solo da allora avida di “sùbiti guadagni”, affrancante ebbene alfine la tracotante soverchia, trans-storica e dunque non rivoluzionaria né “moderna”, dei produttori e, anzitutto, tra essi, dei produttori maestri nell’“arte di acquisire innaturalmente patrimoni”
© Orizzonte
Altro

Categorie
Rivoluzione
Conservatrice
Carl Schmitt
Appropriazione.
Divisione.
Produzione
1953

Edizione originale: Politische Theologie
Edizione italiana: Il Mulino, Bologna 1972, riedizione 2019
In, Alberto Iannelli, Dieci saggi sulla Rivoluzione Conservatrice, Orizzonte Altro Edizioni, 2023
Testo originale ► ► ►

Ogni fondazione (Oíkisis) […] trova fondamento su un’ancora più originaria e aprioristica ad-propriazione noetica dello spazio libero inseitale, ossia indeterminato, continuo, aoristo, potenziale (Chásma). Nondimeno, la stessa immensità s-confinata che principia a distendersi precisamente oltre l’aratura condente, e che principia a esistere in quanto precedentemente essenteci, diviene essa stessa parimenti a essere ovvero diviene a ciò essere, nei medesimi causativi attimo e atto della distinzione stereometrica. Infatti, l’extra-urbano, il non-sé ovvero l’aliud nell’identità, non deve essere compreso quale substrato già lì disponibile prima della partizione, dell’Urbe come dell’Io – giacché la partizione (Bestimmtheit) è l’originario e l’abissale, la De-cisione (Vorlaufende Entschlossenheit) causante tanto il decidente quanto il deciso e la loro stessa sostanza –, come se avesse a punto già, in sé e per sé, sussistenza, attualità, individualità e forma, an-und-für-sich ossia al di là della risoluzione di de-terminarne una parte, questa parte. È, invero, la stessa dis-tinzione aurorale a – ma in seguito – indeterminata e inesistente determinarla e generarla sia quale dimensione libera e infinita o incommensurabilmente estendentesi oltre questa appropriativa partizione principiale, sia in quanto antecedenza già consistente rispetto al proprio stesso generante. L’Urteilung spaziale, autenticamente intesa, è, dunque, autoctisi della Comunità: ogni fondazione trova fondamento nel solco pristino.

[…]

Ciò assialmente predisposto, tentiamo ora l’indagine circa il fondamento dell’attuale Ortung del mondo (Nomos der Erde), viepiù configurantesi quale “spazio globalmente immorsato: uno, continuo e compatto; libero e indistinto”. In particolare, seguendo l’itinerario tracciato da Carl Schmitt in Nehmen / Teilen / Weiden (Appropriazione / Divisione / Produzione, 1953), si cercherà di insertare parallelismo tra la tricotomia del suo concetto-guida Nómos – quale coimplicazione che inserra localizzazione territoriale e Ordnung giuridico, economico, politico e sociale –, e la suddivisione in tre ordini funzionali costitutiva della cosiddetta civiltà indoeuropea, nell’altrove avanzata affermazione secondo cui tale particolare “epopea di popolo” e la vicenda universale degli Homines convergano in unità e comunione d’origine, ovvero nell’ulteriore posizione per la quale la “rivoluzionaria” reductio ad unum della fondativa tripartizione indogermanica, ebbene la di essa conduzione nell’indistinto funzionale, trovi esatta corrispondenza nella parimenti storicamente inaudita enadizzazione dello spettro di significazione del medesimo Nómos, epperò dell’ordinamento giuridico e socio-economico oggi vigente entro la sinechia dello spazio mondiale, tanto, come detto, simmetricamente quanto stra-ordinariamente e uno e mai prima d’ora uno come nel Tempo che inclina verso il compimento dell’Era deuteriore o segmento della Monade seconda, e ciò al fine di condurre a manifestazione come la monadizzazione semantica del Nómos, la mondializzazione dell’ordinamento spaziale e la nullificazione della suddivisione funzionale indoeuropea coincidano nell’unità dell’evento del Moderno.

[…]

Ebbene, per tutta la storia dell’uomo, sino alla rivoluzione industriale europea del Settecento, dunque, più precisamente, sino alla trasformazione della nostra struttura economico-produttiva (Capitalismo), nonché sino alle bicondizionalmente immorsate rivoluzioni politiche franco-anglo-americane (Liberalismo), tanto l’ordine della teoria nomica fu costantemente il medesimo, quanto, e anzitutto, il Nómos stesso, come detto, non fu mai se non sempre triplicemente articolato in:

  1. Appropriazione
  2. Divisione
  3. Produzione
(Carl Schmitt)
Che la divisione e la produzione dovessero essere precedute dall’espansione coloniale, cioè dalla appropriazione e in particolare dalla appropriazione di terra era un ordine di successione che doveva apparire in se stesso, a un socialista come Lenin, medievale, per non dire atavico, reazionario, contrario al progresso e alla fine disumano […]. Questo è il punto in cui il socialismo si incontra con l’economia classica e il suo liberalismo […]. Progresso e libertà economica consistono nel fatto che le forze produttive divengono libere e in tal modo si compie un aumento tale della produzione e della massa di beni di consumo che l’appropriazione ha termine e nello stesso tempo la divisione non costituisce più un problema autonomo. Il progresso della tecnica conduce chiaramente a uno sterminato aumento della produzione. Ma se si dispone del sufficiente o addirittura di più del sufficiente, in tal caso appare come atavismo e come ricaduta nel diritto primordiale di preda, proprio di un’età di miseria, scorgere nella appropriazione il primo fondamentale presupposto dell’ordinamento economico e sociale. Il livello di vita diventa sempre più alto, la divisione diventa sempre più facile, sempre più innocua, e l’appropriazione alla fine è non solo immorale, ma anche irrazionale dal punto di vista economico e quindi insensata. Il liberalismo è una dottrina della libertà, della libertà di produzione economica, della libertà di mercato e soprattutto della regina delle libertà economiche: della libertà di consumo.

Sembrerebbe dunque che la sovversione dell’ordine di successione abbia determinato la soppressione stessa dell’articolazione immanente al Nómos, come se l’emersione primaziale ovvero l’affrancamento emancipativo di ciò che, in sé, fu solo nell’essere parte e momento del tutto, abbia comportato la soverchia sua dell’intero medesimo, l’estensione ovvero progressiva del sé sino all’avvolgimento in sé tanto dei due momenti altri, ora nientificati quali entità distinte entro l’unità che fu plurima, quanto dell’unità stessa dei tre, ormai coincidente con l’unità esclusiva di questa neo-olomorfia tutto-involvente (Umgreifende).

[…]

Se, pertanto, riediamo ora alla nostra proposta di comparazione e coincidenza nel coincentro evenemenziale che dà avvio al Moderno, tra monadizzazione del noema Nómos, mondializzazione dello Spazio interstatale e dissoluzione nell’equoreo e nel dinamico classista della distintività funzionale fondativa della società indogermanica, ci appare così preclara come adamantina la relazione di coimplicazione tra la soverchia del momento produttivo sull’appropriativo e il distributivo, e la prevaricazione dei laboratores su bellatores e oratores, cioè a dirsi, ma con lessico “post-rivoluzionario”, l’obnubilamento dell’orizzonte del Politico – in entrambe le proprie anime, nomotetica-giudicante (Díkē) ed esecutiva (Thémis) – indotto dall’orizzonte pancaliptico dell’Economico. Allo stesso modo, l’internazionalizzazione del diritto giusnaturalista, le compagnie per il commercio transnazionale, l’universalismo dell’egemonia culturale e militare anglo-franco-americana, la globalizzazione delle gendarmerie e dei tribunali, e il sovranazionalismo degli istituti intergovernativi e finanziari, con pari autoevidenza rampollano, riducendo il Mondo a Unità, dalla medesima scaturigine emancipativo-eslege del nostro Evo ultimo. Orbene, dimostrate coimplicazione e coincidenza eziologica (il Moderno), non permane ora altro compito al processo di istituzione della tesi che predica comunanza di fondamento ai tre epifenomeni di unificazione o, piuttosto, di prevaricazione qui in oggetto, se non domandare circa l’attività o la passività dell’evento affrancativo, non rimane ovvero se non indagare se la soppressione della distintività funzionale, interstatuale e intranomica, principi da un’azione autenticamente rivoluzionaria o non piuttosto derivi dalla sospensione di un precedente limite, dunque dal deliquio di un freno millenario (tò Katéchon), ebbene, non resta se non, in ultimo, domandare del carattere con cui il Moderno sopraggiunge, contingentemente a punto emergendo lungo la Seinsgeschichte oppure destinalmente.

[…]

Nonpertanto, ciò che rende capitale questa riflessione di Schmitt circa l’articolazione interna al concetto di Nόmos, unità triplicemente in sé distinta, non trova dimora, riteniamo, semplicemente nel lumeggiare come l’antica contesa per il possesso del suolo (Heimat) sia divenuta ormai lotta contro la Terra per lo sradicamento (Bodenlosigkeit) sempre più tecnicamente efficace ed efficiente della sua capacità immanente di produzione della ricchezza, ovvero controversia tra i grandi prospettori e detentori dei mezzi e dei capitali maggiormente acconci per trasformarne viepiù profittevolmente la potenza crematistica, bensì risieda nella relazione tra l’annullamento della suddivisione spaziale mondiale (Ortung) per contrazione in unità della precedente differenziazione statuale; la soppressione dell’articolazione interna di ciò (il Nόmos) che sta a fondamento di ogni ordinamento (Ordnung) comunitario; e “la confusione delle genti” ossia l’equoreità acetuale indotta dalla nullificazione della ripartizione funzionale intrasociale indoeuropea, emancipante infine l’“orgoglio” e la “dismisura” della “gente nuova”, da sempre e non solo da allora avida di “sùbiti guadagni”, affrancante ebbene alfine la tracotante soverchia, trans-storica e dunque non rivoluzionaria né “moderna”, dei produttori e, anzitutto, tra essi, dei produttori maestri nell’“arte di acquisire innaturalmente patrimoni”