L'ordinarsi nell'effimero dell'apparire del Mondo
Già diversi mesi orsono, difatti, i maggiorenti delle forze armate ucraine “suggerivano” alla direzione politica (omo aut etero diretta, auto aut xeno condotta) di ritirarsi cis-Dnepr, al fine proprio di accorciare il fronte ed evitare la breccia, preludio alla rotta o all’accerchiamento.
Vedremo l’evolversi della situazione, ma, mentre si consuma il “disastro” Pokrovks (e altri “minori”), il rischio di una significativa rottura più ad Ovest, nella zona di Malievka, in direzione della città Dnipropetrovsk (e già nell’oblast omonimo) sembra concreto.
Per difendere Pokrovks, invero, l’esercito ucraino ha spostato dalla direzione Dnipro molti reparti (soprattutto gli operatori di droni in fibra ottica, che surrogano una artiglieria da campo da molti mesi deficitaria), lasciandola scoperta, e i russi vi sono penetrati facilmente, anche in considerazione del fatto che l’Oblast di Dnipropetrovsk non è minimamente trincerato come il Donbass, poiché gli ucraini (e gli Occidentali), dal 2014 hanno sempre pensato di doversi difendere esclusivamente ad Est, a tacer poi delle ruberie politiche e dell’alto tasso di corruzione che hanno condotto a malversare i “nostri” fondi stanziati per costruire trincee fortificate e finiti per acquistare ville private in giro per l’Europa e il Nord America …; lo stesso spazio, geografico e antropico, infine, lì è differente: non vi sono boschi, come a Nord (a Sivers'k come attorno a Sumy), bensì steppa, e non vi sono miniere o industrie, come nel Donbass, “terriconi” e vari luoghi cementificati e solidi ove è agevole arroccarsi.
Nei pressi di Malievka, pertanto, ad, oggi, ci sono alcuni km di fronte “sezionato”. Se la breccia si aprirà così tanto da consentire all’esercito russo di passarci in mezzo coi blindati in relativa sicurezza (cioè oltre la “gittata” dei droni fpv ucraini), avverrà quel disastro paventato mesi fa dai generali ucraini, qualcosa di molto simile alla nostra Caporetto: l’esercito ucraino sarà diviso in due e dovrà arretrare velocemente sino a qualche solida barriera naturale in grado di fermare l’avanzata russa (molto verosimilmente il Dnepr, il nostro Piave), arretrare – dis-ordinatamente, in rotta sicché – di molti km, oppure venire semplicemente circondato e dipoi distrutto.
Ma, poiché, come ci ricorda Sun Tzu, se uno stato perde il proprio esercito, con necessità perde successivamente anche il territorio statuale (ragione per cui sacrificare l’esercito per difendere il territorio è un grave errore strategico, in quanto si finisce col perdere entrambi), se ciò avverrà non si vedono altre soluzioni “politiche” di fuori-uscita se non la resa incondizionata. Per cui il ritiro massivo, questa volta, ripetiamo, se la breccia verrà significativamente dischiusa, sarà inevitabile, e ciò probabilmente anche contro eventuali ordini politici avversi (e forse proprio per questo, Zaluzhny, dal suo esilio dorato londinese, è stato di recente ricondotto sotto i riflettori mediatici)
Probabilmente è per questo che i giorni dell’ultimatum bullesco-texano sono passati da 50 a 12: perché l’Ucraina 50 giorni, semplicemente, ad oggi, non li ha più.
Bene, sic stantibus rebus, di cosa parla la stampa italiana, ovvero quella stampa che – nei periodi della cosiddetta controffensiva dell’estate del 23, nonché della disastrosa disavventura del Kursk nel 24, titolava a 9 colonne (o 2.000 pixel) circa “la conquista di 150 città” (Sole 24 Ore), che, segnatamente, non vi sono nell’intera Russia, scambiando sicché la conquista di una fattoria con la conquista di Mosca…?
Ebbene, nell’ordine:
(dal Fatto Quotidiano on line di ieri pomeriggio, cioè dal meno peggio…)
E la classe politica occidentale? Di cosa parla? << Trump è deluso >>, povero piccolino… come se il suo umore dovesse interessare a qualcuno che non sia la sua moglie, già comprensibilmente abbastanza “intesita” per il caso Epstein…