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Distopia Occidente: ultima fermata, a 15 km da Sloviansk
La guerra dei piani di pace: mentre il Donbass sta per cadere completamente, si agitano isterici marionette e maggiordomi, completamente avulsi dal Reale - 24 novembre 2025
Leggendo la nostra stampa, certamente parte di un tutto da alcuni definito “Occidente collettivo”, sembrerebbe che la guerra sia tra l’Ue e l’Ucraina, da un lato, e l’amministrazione Trump, dell’altro.

Ai 28 punti yankee, risponde, invero, la vecchia Europa con 26 (per alcuni 27, per altri 28), a breve, forse, i Volenterosi ne proporranno ulteriori 29 e domani o dopo, una corrente “extraparlamentare” baltico-polacca, più oltranzista, arriverà financo a 31, mentre gli ultranazionalisti banderisti ucraini non si siederanno neppure al tavolo se prima non sarà garantito loro il banno su tutta la Crimea e la riva orientale del Mar Nero.

Nel frattempo ieri – nel silenzio strategico della parte che, in tutto questo circo da Bagaglino del Tardo Antico, ha valicato il Danubio e già stanzia nella Pannonia occidentale... – Pokrovsk è ufficialmente caduta, seguendo il destino di Kupyansk, conquistata completamente il giorno precedente.

Più a Sud di Kupyansk, domenica, l’esercito russo è ulteriormente avanzato in direzione della T05-13, che collega tra loro Lyman e Siversk, a metà strada circa tra le due cittadine, all’altezza dell’insediamento di Zakitne. Da qui, la citta di Sloviansk dista circa 15km. Al momento, il raggio di copertura dei droni fpv russi varia da 20 a 50km, quindi la loro capacità di estendere la zona contesa (definita “grigia”), e di controllarla, supera il perimetro dell’ultima roccaforte ucraina.

Oltre Sloviansk (agglomerata a Kramatorsk), si estende la steppa sino al grande fiume, ovvero non si dà più alcuna linea difensiva fortificata dalla Nato sin dal 2014. E così a Sud: al di là di Pokrovsk, la strada si estende “libera” sino al Dnepr.

Bene, concentrandoci sui punti più importanti del piano Trump (possiamo concederci, infatti, il lusso di non prendere neppure in considerazione – non occupandoci di psicoanalisi – le chimere e le allucinazioni dei vari Kallas-VonderLeyen-Calenda), piano che taluni chiamano “la resa dell’Ucraina” (e dell’Ue, aggiungiamo noi), e che tal altri definiscono un’“umiliazione inaccettabile”, sinceramente non si vede alcuna concessione fatta dagli sconfitti ai vincitori, nonostante indiscrezioni della stampa anglosassone affermino la bozza esser stata redatta dagli statunitensi, ma sotto dettatura dei russi.

Il Donbass è perso (a 15km da Sloviansk è questione di 6 mesi al massimo), oltre il Donbass la strada è aperta per ulteriori conquiste. La seconda città più importante di Karkiv, Kupyansk a punto, summenzionata, è Russia; a Dniproprestrovsk dilagano: non si comprende perché, dunque, dovrebbero cedere quanto da loro faticosamente conquistato in codesti 2 Oblast, nonché trattenere lo slancio al conquistare completamente le regioni "costituzionali", in cambio di niente.

Certo, gli Occidentali rimuoverebbero le sanzioni, ma queste hanno agevolato e non ostacolato l’economia russa, per loro stessa ammissione, sottoscritta dalla realtà fattuale e numerica.

Del riconoscimento giuridico dei territori annessi, da parte di un Occidente che tramonta, congetturiamo non interessi pressoché più nulla ai russi, ormai euroasiatici.

Tanto meno ai maggiorenti politici russi interessa presenziare al G8, al G4 o al G32, per stingere la mano a gente del livello di Macron e Merz.

Insomma, da un punto di vista militare, economico e geopolitico non vi deve alcun vantaggio per i vincitori da codesto piano.

Perché, dunque, questo stacciarsi di vesti ucro-europee, perché questa “fretta” degli yankee, perché questo silenzio di Mosca?

Premesso che l’unica “leva ermeneutica” che noi possiamo utilizzare sia la logica, non avendo notizie se non pubbliche, e posto che il piano, così com’è, è “logicamente” irricevibile per i russi, e non per gli ucro-europei (se 600k soldati diventeranno 60k, e se in cambio dei territori occupati a Dnipro, Karkiv e Mykolaiv, si ritireranno anche da Zaporizhia e Kherson, allora i russi iniziano a discutere, ma solo allora, a nostro intendere: Zaporizia e Kerson sono Regioni della Russia, per la loro medesima costituzione, non si capisce ordunque come possano giustificare alla propria gente il concederli all’Occidente, il concederli ovvero il non integralmente “liberarli”)

L’unica terzietà logica che può darsi, pertanto, e su cui ci sentiamo di scommettere, è “il casus belli” che consentirà l’ulteriore smarcamento, questa volta definitivo, degli Usa di Trump, un casus belli fondato sull’oltranzistico rifiuto ucro-europeo alla pace (“Io ci ho provato – dirà il palazzinaro yankee –, è colpa loro, dunque se la vedano tra loro”). Da qui, infatti, l’isteria “schizzofrenica” di taluni leader maggiormente asserviti agli statunitensi, tra cui i nostri, che lavorano per non “strappare definitivamente”, a costo di rimangiarsi tutte loro promesse e scommesse perdute (“Scommettiamo sulla vittoria completa dell’Ucraina”, dixit la nostra Premier).

A quel punto, l’obiettivo per il 2026 (o per il 2027, i russi non hanno mai avuto – storicamente – fretta) diverrebbe semplicemente la Nuova Russia, come i cosiddetti falchi, tra cui Sergej Karaganov, esigono.

Non intravvediamo altro destino all’orizzonte di codesto, ma attendiamo gli eventi.