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Campoformio 2.0:
Il sacrificio della "Patria della Tradizione" sarebbe consumato?
21 novembre 2025
Il celebre romanzo foscoliano “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, così principia: << Il sacrificio della patria nostra è consumato >>.

La patria di cui scrive il patriota veneto nelle proprie epistole letterarie è la Repubblica di Venezia, svenduta dal Bonaparte agli Austriaci in contropartita del riconoscimento della Repubblica Cisalpina come francese, e della cessione di alcuni territori lungo il Reno.

Il 17 ottobre 1797 veniva infatti siglato il celebre Trattato di Campoformio, tra la Francia di Napoleone e l’Austria degli Asburgo, sconfitta sul campo. La pace, temporanea, fra i due belligeranti, fu consacrata immolando sull’altare della Realpolitik e dei primaziali interessi nazionali, gli ideali rivoluzionari che avevano animano la costituzione, nel maggio precedente, di un governo patriottico veneto filo-francese. Per generazioni, questo tradimento fu assurto ad archetipo della dialettica politica ideale Vs reale, interessi dei popoli Vs interessi delle elites.

La rassegna stampa italiana, quindi Occidentale, è quest’oggi prevalentemente occupata dall’ipotesi di accordo tra Usa e Russia, fatta ieri trapelare da alcuni media statunitensi, fra cui Axios.

Abbiamo già discusso circa la grottesca e la distopica reazione isterica dei maggiorenti europei (<< Masaniello è crisciuto, Masaniello è turnato!>>...), indispettiti, irosi e gelosi perché nessuno li ha invitati alla festa (Ursula, in effetti, vestirebbe degnamente i panni di Malefica, la strega che maledice la Bella Addormentata poiché a punto non invitata alla festa di corte che ne celebrava la nascita): di ciò che pensano i vari Kallas, Von Der Leyen, Macron, Starmer, Merz e Meloni ormai non interessa più nulla neppure al vicesindaco di Astana. Nessuno vuole salire su una nave che affonda, gravata per giunta di infondato suprematismo e follie ideologiche.

E neppure è nostro interesse discutere la strategia geopolitica yankee, convinti, come siamo, che Trump e Kamala Harris (o chi per lei) siano semplicemente i capponi di Renzo, ovvero che tutta questa retorica su Trump sovranista, antiwoke, neomonroeniano e pacificatore sia a punto “fiction”. Gli Usa non sono una statualità nei termini di Antico Regime, sono un’oligarchia finanziaria ormai transnazionale (e sicuramente trans-partitica) che gioca a interpretare il ruolo di nazione e di nazione democratico-liberale.

Oggi vorremmo discutere della proposta dalla “prospettiva russa”.

Perché, ovvero, la Russia, stravincente in ogni ambito – militare, geopolitico, economico, culturale, giuridico (ieri o ieri l’altro Lavrov ha annunciato di avere prove per instituire una Norimberga 2.0 contro i gerarchi ucraini a fine guerra) – dovrebbe accettare questo mezzo pareggio o questa vittoria limitata?

Analizziamo i fatti: questa mattina, il Capo di stato maggiore generale delle Forze armate russe, Valerij Gerasimov ha esposto i risultati dell’Operazione Militare Speciale al Comandate Putin. Tra i successi riportati, si cita la conquista completa della città di Kupjans'k (circa 55k abitanti prima della guerra), il secondo insediamento per ampiezza della regione dopo il capoluogo, Kharkiv.

Più a Sud, nell’Oblast di Donetsk, ieri i russi hanno praticamente conquistato (hanno superato il centro della città, ponendo sotto il proprio controllo tutta la parte centro-meridionale) la roccaforte di Siversk, importantissimo centro logistico, posto alla stessa altezza di Slovjansk, l’ultima difesa ucraina nella Regione. Caduta Siversk, che dista circa 35km in linea retta, la porta orientale per Slovjansk è aperta. Allo stesso modo, la caduta di Kupjans'k apre la via a Slovjansk da Nord.

Tutti conosciamo la sorte di Pokrovs'k, che ormai è Krasnoarmejsk, e di Myrnohrad, che ormai è Dimitrov

Le ultime piazzeforti nella regione di Donetsk, Lyman e Kostjantynivka, sono praticamente circondate da 3 lati, e, terminata la (tragica) “bonifica” di Krasnoarmejsk e Dimitrov, saranno attaccate, verosimilmente.

Quindi la conquista del Donbass è questione ormai di pochi mesi.

A Est, le cose non vanno meglio per chi si difende, anzi, precipitano. I russi sono entrati nell’Oblast di Dnipropetrovsk a fine maggio, ma l’operazione in quella regione è iniziata con decisione a luglio. Il punto più avanzato ad oggi raggiunto è Danylivka, che dista – a Ovest – circa 90km dal fiume Dnepr, presso la città di Zaporižžja, e – a Est – circa 30km dal confine di Regione. Anche ammettendo un’omeostasi della capacità difensiva ucraina (e ovviamente non sarà così, ogni giorno si indeboliscono), possiamo dire che se in 4 mesi sono avanzati di 30km e gliene mancano 90 per arriva al fiume [che abbiamo sempre riteniamo essere il “punto di caduta finale” dell’Operazione militare speciale, a Est], a ottobre 2026 completeranno la loro avanzata per mera “inerzia”, purtroppo cruenta.

L’Oblast di Zaporižžja, da ultimo, è parimenti al Donbass iperfortificato (da ambo le parti) nella parte di contatto, quella meridionale, ma la parte settentrionale è “campo aperto”, e da lì i russi stanno passando, provenendo da Est.

Come tutti sappiamo, l’economia russa è cresciuta, nel triennio 2023/2025 di 10 punti percentuali circa. Quindi hanno riserve per 10 anni a decrescita dell’1% annuo. Tutti parimenti sappiamo come gli isolati, in realtà, siano divenuti essere gli isolanti, in intenzione: i rappresentanti dell’Ue sono trattati come turisti, in Cina, nel futuro del mondo, e 7 mld di persone ci odiano, per l’avallo al genocidio del popolo palestinese, per la nostra ipocrisia, il nostro doppio e triplo standard, la nostra superbia, il nostro suprematismo “esportatore”, eco di un passato coloniale di soprusi e ruberie, il nostro nichilismo, il disprezzo dei valori della tradizione, l’iconoclastia della morale (e della sacralità), il materialismo e l’edonismo sfrenati.

La guerra ha consentito alla Russia di sperimentare nuovi ed efficacissimi sistemi d’arma, difensivi e offensivi, tattici e strategici. Ogni mese migliaia di volontari corrono ad arruolarsi, i magazzini sono più pieni ora che nel 2022, mentre i magazzini (e le tasche) dei loro “competitor” sono pressoché vuoti (e saranno riempiti a costi “gonfiati” dal caro energia e da una filiera privata rispondente a logiche di mero mercato e profitto, perché noi Occidentali siamo stati così stupidi, e avidi, da privatizzare persino la difesa e le catene del valore connesse). Gli indici di gradimento della classe politica sono ai massimi storici.

Bene, sic stantibus rebus, non si vede proprio alcuna ragione razionale in accordo alla quale i russi dovrebbero arrestarsi ora perché un palazzinaro yankee ha deciso che il progetto “Ucraina anti Russia” non è più per gli yankee stessi redditizio.

Nondimeno, abbiamo iniziato questa riflessione citando il precedente storico di Campoformio.

Infatti, letti i 28 punti, pensiamo che, limitati taluni tra loro (600k effettivi per l’esercito ucraino sono troppi, saranno dimezzati per lo meno, e quel poco che manca delle regioni di Zaporižžja e Kherson – che sono formalmente sicché giuridicamente Russia – sarà verosimilmente “barattato” con quanto conquistato a Dnipropetrovsk e Kharkiv), Putin potrebbe accettare.

Perché, se così andassero le cose, il trattato di pace Putin-Trump si inscriverebbe nel paradigma di Campoformio? Chi sarebbero, in questo caso, i patrioti traditi?

I cittadini ucraini russofoni di Odessa, anzitutto, e, in genere, della cosiddetta Novorossija.

Premettendo che, se anche una sola vita sarà da tale accordo salvata, e se ne salveranno migliaia, da ambo le parti, l’imperativo kantiano ci esorterebbe a gioire, per noi occidentali che, per dirlo con la tenerezza della litote, non concordiamo coi disegni del Nuovo Ordine Mondiale anglosassone, borghese e nichilista, un’intesa Russia e Usa che solo parzialmente ridimensioni la presa yankee sul mondo, che solo parzialmente li umili e dimostri sconfitti, ci lascerebbe – foscolianamente – delusi?

Noi, infatti, riteniamo che questa non sia una guerra per “terra e acqua”; perché, invero, dovremmo interessarcene, da italiani ed europei, se lo fosse? Noi, al contrario, inscriviamo gli eventi – su un piano storico (e financo destinale) – entro l’orizzonte di una lotta di resistenza – katechontica – tra le forze della Tradizione e le antagoniste spinte nichiliste dalla civilizzazione tarda anglosassone in predicato – e brame – di estendersi al globo, così nullificando ogni spazio di alterità possibile rispetto al loro modello di civiltà antiumana e assolutamente inautentica.

Saremmo dunque noi, gli “antagonisti internazionali” della civilizzazione anglosassone, i patrioti veneti “traditi”? Sì.

Ma, come detto, se in qualsiasi modo le armi tacessero, noi saremmo al contempo “patrioti della Tradizione” traditi e felici, pronti a riprendere la lotta sul piano culturale e filosofico, il nostro.