Orizzonte Altro
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L'ordinarsi nell'effimero dell'apparire del Mondo

L’incontro di Budapest non s’ha da fare: contro-interpretazione logica (e letteraria)
23 ottombre 2025
Apparentemente – e l’avverbio è quanto mai d’uopo, stante la dilagante schizofrenia dei cosiddetti leaders occidentali – il vertice bis Putin–Trump, previsto nel cuore dell’Europa, nella contea più riottosa al sub-impero di Ursula, non s’ha da fare.

Le interpretazioni dei nostri media – orto aut eterodossi – oscillano tra la seguente bipolarità:

<< La colpa è tutta di Putin: è predatore che brama troppo e non si accontenta delle concessioni elargite dall’imperatore umorale dal biondo ciuffo già palazzinaro newyorkese >>.

<< La colpa è tutta dell’UE, dei cosiddetti volenterosi: loro sabotano a priori qualunque iniziativa di pace, ragione per cui, l’imperatore di cui sopra, oggi dichiara che il vertice non ci sarà perché “non vuole – stante a punto l’aprioristica recalcitranza degli europei – perdere tempo” (ha cose più importanti da fare, come aggredire una nazione sovrana la cui unica colpa è l’avere molti idrocarburi nel proprio sottosuolo…) >>.

Bene, proviamo a mettere in sequenza lineare, diacronica, i fatti, gli eventi, l’intreccio, per avanzare una terza interpretazione, che non crediamo campeggerà molto sui media (anche, come detto, nei canali non allineati, talvolta troppi attardati presso battaglie politiche interne, come criticare sempre e comunque l’establishment europeo, che in effetti fa di tutto per essere deriso e vilipeso…)

La Russia sul campo di battaglia avanza lungo tutta la linea del fronte. Chi lo nega o sminuisce si autoesclude da ogni dibattito per il semplice fatto che condizione preliminare dell’interpretazione dell’esistente sia il riconoscere un terreno di realtà comune.

L’agglomerato Pokrovsk-Myrnohrad, se va bene agli ucraini, cadrà tra qualche giorno (se va male, cioè a dire se non si ritirano in fretta, verranno completamente circondati e annientati nel giro di qualche settimana).

Tutte le città del Donetsk lungo la linea sono ormai semi-circondate (circondate completamente come controllo di fuoco): Lyman, Kostjantynivka, Siversk

L’offensiva a Dnipropetrovsk e Zaporižžja mantiene un ottimo “momentum”.

A Kherson sembra siano in atto le premesse per una presa della città da due lati.

Ogni giorno l’Ucraina perde combattenti, combattività e territori.

La ratio di intercettazione dei Patriot (il sistema antiaereo più efficace, a detta di chi lo usa, cioè degli ucraini stessi), è calato drasticamente al 6% (Fonte: Financial Times), a seguito delle migliorie tecniche apportate dai russi sui vettori, droni e missili di vario tipo.

Quanto Trump avrebbe detto, furente, a Zelensky: << La Russia sta facendo semplicemente un’operazione militare, non una guerra, se facce la guerra [come l’abbiamo fatta noi in Iraq, aggiunta nostra] “sventrerebbe” l’Ucraina >>, è semplicemente quando affermato da Orsini nel 2022, ovvero è semplicemente quanto chiunque un minimo competente sia in grado di comprende, chiunque a parte i vari Di Feo e Marta Serafini..

Partendo dal dato di realtà – come qualunque analisi politica dovrebbe fare – proviamo ad avanzare il seguente intreccio:

Zelensky (stando al piano di quanto pubblicamente si dà e manifesta) chiede a Trump i Tomahawk per colpire le infrastrutture energetiche in Russia e così logorarla (infatti, molti dei nostri scribacchini avevano già redatto articoli sempre affatto fantasiosi sulle presunte code ai distributori, come i deliri di ieri circa la città di Vladivostok).

Trump, come la sventurata monaca monzese manzoniana, sembra “rispondere” alle profferte dell’Innominato.

Domenica 13 ottobre, la Duma si riunisce e delibera la liceità, per il parlamento stesso, dell’attacco diretto al territorio Usa con vettori nucleari, se anche solo un Tomahawk fosse stato lanciato dagli statunitensi (loro, invero, il personale e tutto ciò che serve al lancio, satelliti compresi), verso la Russia, dal territorio di quanto un tempo fu Ucraina.

Qualche generale pluristellato avrà chiamato Trump che, parimenti furente, gli avrà detto: “ma come, noi siamo i più forti del mondo, possibile che non possiamo neutralizzare queste minacce”?

Codesto generale – spesso, nel nostro tempo, sono i militari a salvarci dai politici – gli avrà candidamente risposto: “no, assolutamente no, contro i Sarmat, gli Avangard, gli Oreshnik (che colpirebbero le basi statunitensi europee detenenti armi atomiche, quindi anche noi… ), non abbiamo assolutamente alcuna difesa, ci distruggerebbero e non è detto che sapremmo egualmente rispondere, anzi, non è detto che semplicemente alcuna entità organica rimarrebbe, se attaccassero loro per primi, massicciamente, con tutto quanto hanno in arsenale.

“What a fack!”…

Ecco che Trump alza il telefono e convoca i suoi guru della comunicazione politica: “non possono dargli i Tomahawk, ma non posso pubblicamente dire che non glieli do perché mi cago sotto”

“Organizziamo una guerra in Albania?”

“No, ci hanno già pensato gli sceneggiatori di Sesso e Potere”

“Cambiamo discorso!! Diciamo che stiamo organizzando un meeting con Putin per far finire la guerra, perché noi siamo per la pace e questa è una guerra di Biden, poi diremmo che per colpa degli europei è inutile vedersi, tanto quelli incassano tutto senza reagire”

Bene, a parer nostro, “se non del tutto giusto quasi niente è sbagliato”, di questa interpretazione “letteraria”. La geopolitica è fondata sui rapporti di forza, non sulle chiacchere, come il marketing o la vendita dei condomini del Bronx