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Alberto Iannelli

Il Potere
del nostro Tempo

Origine, fondamento e posizione dell’essenza eidoclasta, nell’Oggi omniafferrante, sul piano della Seinsgeschichte

© Orizzonte Altro Edizioni, 2023
Iannelli Alberto - Il Potere del nostro Tempo
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Principiando dall’anapodissi dell’antiticipità ovvero dall’immediata evidenza dell’eidoclastia che predomina l’orizzonte dell’Oggi, l’autore conduce l’apodissi rivolta a disvelare l’essenza del Sollen faustiano – viepiù ipostatizzantesi nell’impressione, con necessità, del carattere del niente inautentico ossia aoristico all’ente ecceitale ebbene già, bicondizionalmente (Sýnolon), tanto posto presso identità quanto ascritto alla sostanza del Giorno –, ostendendola sino a porre coimplicazione tra Potere e Tempo, tra il Sentiero dell’Affermare (Seinsgeschichte), anzitutto, e l’endiadica Struttura dell’originaria Enantiosi (Nichtseinsgeschick). Rin-tracciato il fondamento di ciò che egemonizza l’Odierno nella corresponsione eliaca alla posizione diadica della Monade deuteriore, vengono ulteriormente analizzati i fenomeni strutturali e i sovrastrutturali epifenomeni di quanto qui appellato civilizzazione manchesteriana, per dipoi escuterne l’effige del flamine diale, poscia palesatosi nell’archetipo esistenziale innaturalmente insinuato e da primordio presso la terza funzione transtorica o dell’estensione crematistica aqualitativa. L’evento destinale dell’epoché kateconica statuale accosta alfine l’agile venagione cratofanica alla dichiarazione conclusiva circa l’unico compito autentico permasto all’Esserci gettato nella configurazione dell’Essere che inclina verso la Weltnacht.

Il cherigma della contraddizione dell’ente-escate; il farsi atto dell’avversario estremo ovverosia del plenario; la gloria della spoglia edacissima giacché entelechiale; l’avvento dei prossimi olimpici e dell’ultima sollevazione, la rivoluzione apofatico-conservatrice.
Antologia Citazionale
Dappertutto assistiamo alla preordinata e sistematica distruzione di ogni statuizione identitaria, di qualsivoglia individuazione distintiva, di tutte le differenze e anzitutto della Differenza stessa, tanto che è proprio questo impeto iconoclasta e riottoso a ogni adersione eidetica, a ogni disposizione precisa o decisa partizione dell’insé, egualmente a ogni ad-propriativa o immedesimativa posizione d’alterità contro l’altro tutto, a definire la Forma, l’Ecceità, l’Aspetto essenziale del nostro Tempo, la cui Figura, pertanto, non può non essere ora determinata e qui dimostrata (Deiknýnai) se non giacché compito (Sollen) di ridurre tutto ciò che è – dunque, per sinolare bicondizionalità, tutto ciò che è presso sé – a indeterminatezza ovvero a niente. Sembrerebbe dunque che la categoria dell’Identità o della Sostanza (nell’accezione a punto di Essenza, Ousía) sia capitale nell’inquadramento del nostro Zeitgeist. Eccoci epperò nella necessità di compiere un ulteriore passo eccentrico lungo la nostra pur agile battuta di caccia, per porre, ora e ancora, tale cruciale categoria sotto indagine e giudizio.

[...]

Precisamente questa, ribadiamo, è l’essenza a fondamento del pluralismo omni-inclusivo a carattere planetario nell’oggi dominante, il niente inautentico quale Indistinzione assoluta o estinzione della luce della partizione, della forma (Morphé), dell’idea (Eidos), della qualità (Dasein), la tensione verso la Chora, il dover-essere (Sollen) dell’amorfia magmatica e anti-tipica della Hyle, non già, tuttavia, qui da intendersi, in accordo alla configurazione ontologica platonica e neoplatonica, quale primordiale matrice liscia o ingenerato ricettacolo neutro acconcio all’acquisizione dell’opera d’individuazione demiurgica, pre-esistente epperò sostrato materico della molteplice sopraggiungenza caduca e corruttibile, bensì, vettorialmente tutt’al contrario, quale punto di tensione che prende fondamento dal già esserci e dal già esserci-state delle occorrenza particolari della Storia-della-Distintività (tà pánta), non dunque congerie caotica quale pre-condizione dell’ordine e della misura a venire, bensì dissoluzione – sul fondamento a tendere del coacervo indifferenziato – di ogni già instituita regola e di tutte le già definite misure.

[...]

Stanata e imposta entro definizione l’essenza del Potere del nostro Tempo, nonché delineatane la dipendenza dalla coeva sua Configurazione dell’Ente in Totalità, questa altresì dimostratasi discendente dalla Storia-dell’Essere e, nella propria vicenda diurna o enantiodromica d’Ere ed Epoche in successione, indicata giacché condizionata a sua volta dalla struttura – endiadica – dell’autoctica proposizione originaria e trascendentale della Meonticità, appellata Destino, non ci rimane ora altro compito, dopo aver enucleato epifenomeni e fenomeni – tanto sovrastrutturali quanto strutturali – attraverso il dispiegamento dei quali si dà presa essoterica della suddetta assediata essenza oscura, se non metterci in caccia, parimenti profilativa ovvero definitoria, di ciò che abbiamo denominato, nell’indicarla quale affluente della manifestazione strutturale maggiormente nell’oggi dominante, “terza funzione trans-storica inautentica”, non ci rimane ossia se non scacciare dalle proprie millenarie latebre l’archetipo esistenziale che da principio l’incarna e serve, avviticchiato – ma parassitariamente – al terreno dell’estensione senza qualità.

[...]

Io e non-Io, Identità e Alterità, Essere e Nulla e, come anticipato, lo stesso orizzonte dello Spazio e del Tempo, principiano dunque con l’evenire a essere – nel Giorno che dimostra (Deixis, Deiknýnai) l’eidogonia o teoria ideale – della morte dell’altro, ovvero, ripetiamo, col bicondizionale attuarsi – nella Notte dell’Essenteci ancora, ebbene con l’evenire a essere giacché non ancora essenteci o essenteci-in-fine – della solo sua propria possibilità (Dýnamis) di dipartizione estrema o Non-più-esserci. La Morte rappresenta quindi l’evento deittico o diurno, individuale o intradestinale, parimenti, della Dipartizione originaria (Urteilung), ossia della notturna autoctisi dell’Io trascendentale o categoriale e, avvenendo, seco comporta o piuttosto concede avvio tanto al medesimo scorrere orientato (Télos) innanzi, sorgente ultima retrocedendo dal principio della quale il nostro presente continuamente ci si fa incontro, quanto alla nostra libertà di azione (Tätigkeit): avere un orizzonte topico (In-der-Welt-Sein) significa, infatti, autenticamente, avere (ancora) Spazio libero cioè nullo entro il quale possa trovare già e sempre dimora il sopravvenire di ogni nostro pro-getto o decisione, di ogni nostro agire e compiere. Noi, infatti, possiamo chiamare “spazio libero e s-confinato” ciò che si estende al di là di un confine, solo allorquando tracciamo il solco pristino: così come, prima della di-partizione, non c’è alcuno spazio libero, alcun esterno, neppure l’indistinto o l’indeterminatezza dello Spazio in sé, egualmente non si dà alcuna possibilità di azione ovvero di espansione dell’atto, neppure l’inazione. L’evento estremo della Morte, intenso precisamente in quanto saturazione assoluta dello Spazio-Tempo devasto o compimento insuperabile della Potenza dell’Accadere, rappresenta dunque, ancora sul piano del Giorno ovvero dell’Atto, anche l’entelechia (originaria sul pianto della Notte ovvero della Potenza) del Cronotopo, il Dischiudimento archeo (Lichtung, Erschlossenheit, Hiatus, Chásma).
L’evento sogliale del morire, da ultimo, determina pertanto l’essenza dell’Uomo, ascrivendogli con necessità i caratteri dell’anticipazionalità (Pró-lepsis) e dell’irreversibilità estrema che tutto autenticamente retro-possibilizza (Sein-zum-Tode). L’uomo, quindi, è quell’ente che, essenzialmente, solo possiede un Destino, ossia una meta, un tramonto, un punto di tensione (Ort). È propriamente nell’apertura originaria (Kénosis, Stéresis, Néantisation) determinata (Bestimmtheit) dalla non procrastinabilità ulteriore o dall’impossibilità dell’estensione nell’innanzi di cotale punto ultimo-principiale che può farsi a noi incontro, in quella dimensione libera, e nella fondazione assolutamente incondizionata ovvero perfettamente endoevacua, l’ordinato apparire e l’orientato di ciascuna onto-medesimezza, ovvero la meravigliosa teoria della molteplicità che noi chiamiamo Storia. L’uomo è dunque, egualmente, quell’ente che, per essenza, ha una Storia, per questo l’essenza o Destino dell’Esserci è la sua stessa esistenza immediatamente storica ovvero autoconquistantesi (Geschehen). Storia (Geschichte) e Destino (Geschick), Essere e Nulla, Identità e Alterità, Tempo e Spazio, Io e Non-Io, Pensiero e Materia, sono epperò coimplicati nella vicenda dell’Uomo e del suo morire, categorie trascendentali a priori rispetto a ogni ecceitale Esserci-gettato o intradestinalmente individuato.

[...]

Ordunque, per stringere – quasi in cattura – il cinto che avvince il Potere del nostro Tempo, l’Epoca della Seinsgeschichte in cui ciò che nell’Oggi tutto domina espande massimamente la propria potestà, e il paredro archetipico che serve – per sua “natura” scaltro e subdolo, vile e inverecondo – tale divinità possente e ormai unicamente valente, tanto nello Spazio (globalizzazione), quanto, ripetiamo, nel Tempo (interpretatio graeca, cancel culture), incliniamo ulteriormente il nostro incedere indulgendo ora presso le fronde magne parimenti ed elisie di Carl Schmitt e Aristotele. Particolarmente illuminata, infatti, è la rideclinazione schmittiana della tripartizione funzionale indoeuropea in Nehmen / Teilen / Weiden (Appropriazione / Divisione o Spartizione / Produzione), eccezionalmente disadombrante e dunque meritevole di menzione, meditazione ed excursus, anzitutto poiché capace di indicarci il fondamento “strutturale”, l’aítion finale, l’id cuius gratia fu condotta a delezione la stessa tripartizione, nell’evento da noi, ancora in ipotesi, additato quale prima mozione del processo di compimento (archè tes kineseos) della Civiltà il cui cerchio culturale (Kulturkreis) ormai si estende – e con necessità archea – al mondo intero, coinvolgendo – ora anche sul piano del Giorno – l’intera vicenda di un’umanità già viepiù ridotta presso omogeneità nell’unità della produzione globale della ricchezza.

[...]

Se, dunque, sunteggiando il sentiero cinegetico sin qui seguito, la configurazione dell’ente in totalità nell’Oggi dice della distruzione assoluta e a carattere necessario di ogni posizione di assolutezza e necessità che possa disporsi quale fondamento in grado di pertenere inconcusso con cogenza l’ente determinato presso se stesso; se, ossia, egualmente, l’essenza della Sostanza oggi dimostra sé nella nientificazione della distinzione e della sussistenza dell’essente già individuato ovvero imposto in ecceità; se, ancora, tale idealforma ideoclasta e antitipica con-risponde – parlando della propria epistemica certezza ovvero della propria diuturnità nell’annichilire –, in seno alla struttura endiadica del Destino, alla posizione diadica della Monade, quindi – sul piano della Storia – all’Epoca (Faustisch Epoche) che tras-duce l’Eternità deuteriore dallo Stare entelechiale sempre salvo (phýsis aeì sozoméne) delfico, al Protendersi perenne (Streben) gotico, elevando epperò l’Infinito dell’Era conseguente a télos (Sollen) del proprio incedere distruttivo e infine (Zivilisation) inerzialmente o infertilmente deleterio; se, ulteriormente, la postura esistenziale oggi predominante, nel cogente corrispondere all’evento costitutivo dell’Esserci, è quella decisasi per la scelta di affissare esclusivamente la possibilità d’Essere-nel-mondo che tace tanto della trascendenza dell’anima quanto della eternazione dell’Io, tutta com’è protesa e prostrata nel culto dell’immanenza della materia ima, ora unica realtà esistente ovvero qui pensata giacché eternamente e incondizionatamente vera; se, da ultimo, coartando sino alla cattura la nostra cinegesia, la terza funzione trans-storica si è dimostrata essere quella deputata da principio all’accrescimento quantitativo della ricchezza materiale, dunque all’estroflessione comunitariamente profittevole dell’immanenza ctonia; e se, parassitariamente accucciata in essa, è la mercatura – entro la quale la finanza presiede la “bolgia” dell’estremizzazione astrattiva o contronaturale – a disvelare se stessa come intrinsecamente anti-tipica e a-qualitativa, normoclasta e dunque così recalcitrante per ogni imposizione di forma come avversa ad ogni decreto di commisurazione ultraindividuale, ipostasi epperò della pulsione profligativa di tutti i templi e le centurie, di tutti i litui e le grome, compreso, anzitutto, lo stessa confine trifunzionale; allora non possiamo ora se non solennemente dichiarare il mercate della civilizzazione faustiana, dunque il commerciante capitalista che esiste esclusivamente per la materia e la di essa profittabilità, brulicante ogn’ora e spasmodicamente industre nell’eterno presente dell’immanenza tanto preclusa all’autentica trascendenza storico-eroica-ecistica o all’endiadica, quanto all’inautentica o diadica ultramondanità empirea, quale paredro elettivo o esemplare del Potere del nostro tempo.

[...]

Se, dunque, ritorniamo alla sinottica che dispone l’ordinarsi storico, secondo Quantità, della struttura originaria del Destino, endiadico sotto tali riguardi categoriali, non possiamo se non rispondere positivamente al nostro completorio chiedere: l’Era deuteriore, infatti, è preceduta dalla figurazione o dalla formalità dell’Era ecistico-eneide, che si estende a ritroso per remoti millenni rispetto allo sbocciare delfico-eleatico, epperò ancora attende, dopo il compiersi della civilizzazione gotico-fichtiana, i propri adempimento e concretizzazione. E così sarà, secondo Necessità. E, nondimeno, occorre con seria gravità interrogarsi su cosa com-porti, nel Giorno quindi lungo la Storia dell’Esserci, l’evento di tale avvento escate, nonché – nella praxis – su cosa possiamo noi congruemente compiere – certamente ipotizzando una coscienza inconciliata col nostro Tempo – per accelerarne il sopraggiungere parusiaco ovvero, preliminarmente, l’oltrepassamento tanto dell’orizzonte emerino a noi coevo quanto dell’ulteriore sua incondizionata intensificazione. Dovremmo forse noi – oggi – adire reazione e adergere il vessillo della contesa contro questo Potere e il suo archetipo funzionale-esistenziale? E, se sì, con quali modalità condurre la rivolta contro il mondo (post)moderno? Oppure dovremmo, al contrario, abbandonarci a una nostalgica e melancolica laudatio temporis acti, per dipoi accenderci in progetti di restaurazione dell’antico? E come, nel caso, potremmo autenticamente riattuarlo, certi dell’avanguardialità ovvero dell’intrascendibile condizionalità del nostro intorno di ri-presa? O non forse, ancora, slanciarci innanzi in cerca di un’ulteriore e di una migliore declinazione di senso per le eventuali nostre istanze progressiste, dimentichi di come qualsivoglia posizione, per quanto legittima possa astrattamente essere o apparire, muti perfino radicalmente significato in relazione allo sfondo contro il quale si staglia e in cui prende possesso posizionale e dimora?

[...]

Pertanto, in conclusione, ancora in concento alla struttura ed essenza dell’Originario, quale prassi conferisce autenticità all’Esserci nel Tempo nostro incipientemente atrescente, forse l’inazione che fideisticamente attende e tutt’al più salmodiante la salvazione del trionfo igneo che fin d’ora e da sempre s’annuncia quale d’impossibile non avvento in fine? O non, piuttosto, autentica noi forse intendiamo dichiarare essere quell’esistenza che affretta la teofania estrema del Sotèr imprimendo accelerazione al moto inerziale della Storia ormai irreversibilmente derivante verso la Weltnacht, condizione preliminare necessaria al clangore circonfulgente dell’Apoteosi asintotica, volenterosi così e non trascinati nolenti assecondanti la tensa del Fato ecpirotropico? È, forse, la nostra, in definitiva, una religio mortis universale o un ferreo determinismo stoico fondato sull’adiaforia circa il corso apocatastatico del cosmo?

[...]

Ecco pertanto ciò che solamente, nell’Oggi, può conferire pienezza autentica all’agire dell’Esserci: dare battaglia a tutto quanto appare consentaneo alla configurazione dell’essere tardo-faustiano, principiando da ogni fenomeno ed epifenomeno suo, ebbene, certamente ed elettivamente, dal Potere del nostro Tempo e dal kohèn gadòl proprio.
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Origine, fondamento e posizione dell’essenza eidoclasta, nell’Oggi omniafferrante, sul piano della Seinsgeschichte

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Principiando dall’anapodissi dell’antiticipità ovvero dall’immediata evidenza dell’eidoclastia che predomina l’orizzonte dell’Oggi, l’autore conduce l’apodissi rivolta a disvelare l’essenza del Sollen faustiano – viepiù ipostatizzantesi nell’impressione, con necessità, del carattere del niente inautentico ossia aoristico all’ente ecceitale ebbene già, bicondizionalmente (Sýnolon), tanto posto presso identità quanto ascritto alla sostanza del Giorno –, ostendendola sino a porre coimplicazione tra Potere e Tempo, tra il Sentiero dell’Affermare (Seinsgeschichte), anzitutto, e l’endiadica Struttura dell’originaria Enantiosi (Nichtseinsgeschick). Rin-tracciato il fondamento di ciò che egemonizza l’Odierno nella corresponsione eliaca alla posizione diadica della Monade deuteriore, vengono ulteriormente analizzati i fenomeni strutturali e i sovrastrutturali epifenomeni di quanto qui appellato civilizzazione manchesteriana, per dipoi escuterne l’effige del flamine diale, poscia palesatosi nell’archetipo esistenziale innaturalmente insinuato e da primordio presso la terza funzione transtorica o dell’estensione crematistica aqualitativa. L’evento destinale dell’epoché kateconica statuale accosta alfine l’agile venagione cratofanica alla dichiarazione conclusiva circa l’unico compito autentico permasto all’Esserci gettato nella configurazione dell’Essere che inclina verso la Weltnacht.

Il cherigma della contraddizione dell’ente-escate; il farsi atto dell’avversario estremo ovverosia del plenario; la gloria della spoglia edacissima giacché entelechiale; l’avvento dei prossimi olimpici e dell’ultima sollevazione, la rivoluzione apofatico-conservatrice.
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Dappertutto assistiamo alla preordinata e sistematica distruzione di ogni statuizione identitaria, di qualsivoglia individuazione distintiva, di tutte le differenze e anzitutto della Differenza stessa, tanto che è proprio questo impeto iconoclasta e riottoso a ogni adersione eidetica, a ogni disposizione precisa o decisa partizione dell’insé, egualmente a ogni ad-propriativa o immedesimativa posizione d’alterità contro l’altro tutto, a definire la Forma, l’Ecceità, l’Aspetto essenziale del nostro Tempo, la cui Figura, pertanto, non può non essere ora determinata e qui dimostrata (Deiknýnai) se non giacché compito (Sollen) di ridurre tutto ciò che è – dunque, per sinolare bicondizionalità, tutto ciò che è presso sé – a indeterminatezza ovvero a niente. Sembrerebbe dunque che la categoria dell’Identità o della Sostanza (nell’accezione a punto di Essenza, Ousía) sia capitale nell’inquadramento del nostro Zeitgeist. Eccoci epperò nella necessità di compiere un ulteriore passo eccentrico lungo la nostra pur agile battuta di caccia, per porre, ora e ancora, tale cruciale categoria sotto indagine e giudizio.

[...]

Precisamente questa, ribadiamo, è l’essenza a fondamento del pluralismo omni-inclusivo a carattere planetario nell’oggi dominante, il niente inautentico quale Indistinzione assoluta o estinzione della luce della partizione, della forma (Morphé), dell’idea (Eidos), della qualità (Dasein), la tensione verso la Chora, il dover-essere (Sollen) dell’amorfia magmatica e anti-tipica della Hyle, non già, tuttavia, qui da intendersi, in accordo alla configurazione ontologica platonica e neoplatonica, quale primordiale matrice liscia o ingenerato ricettacolo neutro acconcio all’acquisizione dell’opera d’individuazione demiurgica, pre-esistente epperò sostrato materico della molteplice sopraggiungenza caduca e corruttibile, bensì, vettorialmente tutt’al contrario, quale punto di tensione che prende fondamento dal già esserci e dal già esserci-state delle occorrenza particolari della Storia-della-Distintività (tà pánta), non dunque congerie caotica quale pre-condizione dell’ordine e della misura a venire, bensì dissoluzione – sul fondamento a tendere del coacervo indifferenziato – di ogni già instituita regola e di tutte le già definite misure.

[...]

Stanata e imposta entro definizione l’essenza del Potere del nostro Tempo, nonché delineatane la dipendenza dalla coeva sua Configurazione dell’Ente in Totalità, questa altresì dimostratasi discendente dalla Storia-dell’Essere e, nella propria vicenda diurna o enantiodromica d’Ere ed Epoche in successione, indicata giacché condizionata a sua volta dalla struttura – endiadica – dell’autoctica proposizione originaria e trascendentale della Meonticità, appellata Destino, non ci rimane ora altro compito, dopo aver enucleato epifenomeni e fenomeni – tanto sovrastrutturali quanto strutturali – attraverso il dispiegamento dei quali si dà presa essoterica della suddetta assediata essenza oscura, se non metterci in caccia, parimenti profilativa ovvero definitoria, di ciò che abbiamo denominato, nell’indicarla quale affluente della manifestazione strutturale maggiormente nell’oggi dominante, “terza funzione trans-storica inautentica”, non ci rimane ossia se non scacciare dalle proprie millenarie latebre l’archetipo esistenziale che da principio l’incarna e serve, avviticchiato – ma parassitariamente – al terreno dell’estensione senza qualità.

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Io e non-Io, Identità e Alterità, Essere e Nulla e, come anticipato, lo stesso orizzonte dello Spazio e del Tempo, principiano dunque con l’evenire a essere – nel Giorno che dimostra (Deixis, Deiknýnai) l’eidogonia o teoria ideale – della morte dell’altro, ovvero, ripetiamo, col bicondizionale attuarsi – nella Notte dell’Essenteci ancora, ebbene con l’evenire a essere giacché non ancora essenteci o essenteci-in-fine – della solo sua propria possibilità (Dýnamis) di dipartizione estrema o Non-più-esserci. La Morte rappresenta quindi l’evento deittico o diurno, individuale o intradestinale, parimenti, della Dipartizione originaria (Urteilung), ossia della notturna autoctisi dell’Io trascendentale o categoriale e, avvenendo, seco comporta o piuttosto concede avvio tanto al medesimo scorrere orientato (Télos) innanzi, sorgente ultima retrocedendo dal principio della quale il nostro presente continuamente ci si fa incontro, quanto alla nostra libertà di azione (Tätigkeit): avere un orizzonte topico (In-der-Welt-Sein) significa, infatti, autenticamente, avere (ancora) Spazio libero cioè nullo entro il quale possa trovare già e sempre dimora il sopravvenire di ogni nostro pro-getto o decisione, di ogni nostro agire e compiere. Noi, infatti, possiamo chiamare “spazio libero e s-confinato” ciò che si estende al di là di un confine, solo allorquando tracciamo il solco pristino: così come, prima della di-partizione, non c’è alcuno spazio libero, alcun esterno, neppure l’indistinto o l’indeterminatezza dello Spazio in sé, egualmente non si dà alcuna possibilità di azione ovvero di espansione dell’atto, neppure l’inazione. L’evento estremo della Morte, intenso precisamente in quanto saturazione assoluta dello Spazio-Tempo devasto o compimento insuperabile della Potenza dell’Accadere, rappresenta dunque, ancora sul piano del Giorno ovvero dell’Atto, anche l’entelechia (originaria sul pianto della Notte ovvero della Potenza) del Cronotopo, il Dischiudimento archeo (Lichtung, Erschlossenheit, Hiatus, Chásma).
L’evento sogliale del morire, da ultimo, determina pertanto l’essenza dell’Uomo, ascrivendogli con necessità i caratteri dell’anticipazionalità (Pró-lepsis) e dell’irreversibilità estrema che tutto autenticamente retro-possibilizza (Sein-zum-Tode). L’uomo, quindi, è quell’ente che, essenzialmente, solo possiede un Destino, ossia una meta, un tramonto, un punto di tensione (Ort). È propriamente nell’apertura originaria (Kénosis, Stéresis, Néantisation) determinata (Bestimmtheit) dalla non procrastinabilità ulteriore o dall’impossibilità dell’estensione nell’innanzi di cotale punto ultimo-principiale che può farsi a noi incontro, in quella dimensione libera, e nella fondazione assolutamente incondizionata ovvero perfettamente endoevacua, l’ordinato apparire e l’orientato di ciascuna onto-medesimezza, ovvero la meravigliosa teoria della molteplicità che noi chiamiamo Storia. L’uomo è dunque, egualmente, quell’ente che, per essenza, ha una Storia, per questo l’essenza o Destino dell’Esserci è la sua stessa esistenza immediatamente storica ovvero autoconquistantesi (Geschehen). Storia (Geschichte) e Destino (Geschick), Essere e Nulla, Identità e Alterità, Tempo e Spazio, Io e Non-Io, Pensiero e Materia, sono epperò coimplicati nella vicenda dell’Uomo e del suo morire, categorie trascendentali a priori rispetto a ogni ecceitale Esserci-gettato o intradestinalmente individuato.

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Ordunque, per stringere – quasi in cattura – il cinto che avvince il Potere del nostro Tempo, l’Epoca della Seinsgeschichte in cui ciò che nell’Oggi tutto domina espande massimamente la propria potestà, e il paredro archetipico che serve – per sua “natura” scaltro e subdolo, vile e inverecondo – tale divinità possente e ormai unicamente valente, tanto nello Spazio (globalizzazione), quanto, ripetiamo, nel Tempo (interpretatio graeca, cancel culture), incliniamo ulteriormente il nostro incedere indulgendo ora presso le fronde magne parimenti ed elisie di Carl Schmitt e Aristotele. Particolarmente illuminata, infatti, è la rideclinazione schmittiana della tripartizione funzionale indoeuropea in Nehmen / Teilen / Weiden (Appropriazione / Divisione o Spartizione / Produzione), eccezionalmente disadombrante e dunque meritevole di menzione, meditazione ed excursus, anzitutto poiché capace di indicarci il fondamento “strutturale”, l’aítion finale, l’id cuius gratia fu condotta a delezione la stessa tripartizione, nell’evento da noi, ancora in ipotesi, additato quale prima mozione del processo di compimento (archè tes kineseos) della Civiltà il cui cerchio culturale (Kulturkreis) ormai si estende – e con necessità archea – al mondo intero, coinvolgendo – ora anche sul piano del Giorno – l’intera vicenda di un’umanità già viepiù ridotta presso omogeneità nell’unità della produzione globale della ricchezza.

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Se, dunque, sunteggiando il sentiero cinegetico sin qui seguito, la configurazione dell’ente in totalità nell’Oggi dice della distruzione assoluta e a carattere necessario di ogni posizione di assolutezza e necessità che possa disporsi quale fondamento in grado di pertenere inconcusso con cogenza l’ente determinato presso se stesso; se, ossia, egualmente, l’essenza della Sostanza oggi dimostra sé nella nientificazione della distinzione e della sussistenza dell’essente già individuato ovvero imposto in ecceità; se, ancora, tale idealforma ideoclasta e antitipica con-risponde – parlando della propria epistemica certezza ovvero della propria diuturnità nell’annichilire –, in seno alla struttura endiadica del Destino, alla posizione diadica della Monade, quindi – sul piano della Storia – all’Epoca (Faustisch Epoche) che tras-duce l’Eternità deuteriore dallo Stare entelechiale sempre salvo (phýsis aeì sozoméne) delfico, al Protendersi perenne (Streben) gotico, elevando epperò l’Infinito dell’Era conseguente a télos (Sollen) del proprio incedere distruttivo e infine (Zivilisation) inerzialmente o infertilmente deleterio; se, ulteriormente, la postura esistenziale oggi predominante, nel cogente corrispondere all’evento costitutivo dell’Esserci, è quella decisasi per la scelta di affissare esclusivamente la possibilità d’Essere-nel-mondo che tace tanto della trascendenza dell’anima quanto della eternazione dell’Io, tutta com’è protesa e prostrata nel culto dell’immanenza della materia ima, ora unica realtà esistente ovvero qui pensata giacché eternamente e incondizionatamente vera; se, da ultimo, coartando sino alla cattura la nostra cinegesia, la terza funzione trans-storica si è dimostrata essere quella deputata da principio all’accrescimento quantitativo della ricchezza materiale, dunque all’estroflessione comunitariamente profittevole dell’immanenza ctonia; e se, parassitariamente accucciata in essa, è la mercatura – entro la quale la finanza presiede la “bolgia” dell’estremizzazione astrattiva o contronaturale – a disvelare se stessa come intrinsecamente anti-tipica e a-qualitativa, normoclasta e dunque così recalcitrante per ogni imposizione di forma come avversa ad ogni decreto di commisurazione ultraindividuale, ipostasi epperò della pulsione profligativa di tutti i templi e le centurie, di tutti i litui e le grome, compreso, anzitutto, lo stessa confine trifunzionale; allora non possiamo ora se non solennemente dichiarare il mercate della civilizzazione faustiana, dunque il commerciante capitalista che esiste esclusivamente per la materia e la di essa profittabilità, brulicante ogn’ora e spasmodicamente industre nell’eterno presente dell’immanenza tanto preclusa all’autentica trascendenza storico-eroica-ecistica o all’endiadica, quanto all’inautentica o diadica ultramondanità empirea, quale paredro elettivo o esemplare del Potere del nostro tempo.

[...]

Se, dunque, ritorniamo alla sinottica che dispone l’ordinarsi storico, secondo Quantità, della struttura originaria del Destino, endiadico sotto tali riguardi categoriali, non possiamo se non rispondere positivamente al nostro completorio chiedere: l’Era deuteriore, infatti, è preceduta dalla figurazione o dalla formalità dell’Era ecistico-eneide, che si estende a ritroso per remoti millenni rispetto allo sbocciare delfico-eleatico, epperò ancora attende, dopo il compiersi della civilizzazione gotico-fichtiana, i propri adempimento e concretizzazione. E così sarà, secondo Necessità. E, nondimeno, occorre con seria gravità interrogarsi su cosa com-porti, nel Giorno quindi lungo la Storia dell’Esserci, l’evento di tale avvento escate, nonché – nella praxis – su cosa possiamo noi congruemente compiere – certamente ipotizzando una coscienza inconciliata col nostro Tempo – per accelerarne il sopraggiungere parusiaco ovvero, preliminarmente, l’oltrepassamento tanto dell’orizzonte emerino a noi coevo quanto dell’ulteriore sua incondizionata intensificazione. Dovremmo forse noi – oggi – adire reazione e adergere il vessillo della contesa contro questo Potere e il suo archetipo funzionale-esistenziale? E, se sì, con quali modalità condurre la rivolta contro il mondo (post)moderno? Oppure dovremmo, al contrario, abbandonarci a una nostalgica e melancolica laudatio temporis acti, per dipoi accenderci in progetti di restaurazione dell’antico? E come, nel caso, potremmo autenticamente riattuarlo, certi dell’avanguardialità ovvero dell’intrascendibile condizionalità del nostro intorno di ri-presa? O non forse, ancora, slanciarci innanzi in cerca di un’ulteriore e di una migliore declinazione di senso per le eventuali nostre istanze progressiste, dimentichi di come qualsivoglia posizione, per quanto legittima possa astrattamente essere o apparire, muti perfino radicalmente significato in relazione allo sfondo contro il quale si staglia e in cui prende possesso posizionale e dimora?

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Pertanto, in conclusione, ancora in concento alla struttura ed essenza dell’Originario, quale prassi conferisce autenticità all’Esserci nel Tempo nostro incipientemente atrescente, forse l’inazione che fideisticamente attende e tutt’al più salmodiante la salvazione del trionfo igneo che fin d’ora e da sempre s’annuncia quale d’impossibile non avvento in fine? O non, piuttosto, autentica noi forse intendiamo dichiarare essere quell’esistenza che affretta la teofania estrema del Sotèr imprimendo accelerazione al moto inerziale della Storia ormai irreversibilmente derivante verso la Weltnacht, condizione preliminare necessaria al clangore circonfulgente dell’Apoteosi asintotica, volenterosi così e non trascinati nolenti assecondanti la tensa del Fato ecpirotropico? È, forse, la nostra, in definitiva, una religio mortis universale o un ferreo determinismo stoico fondato sull’adiaforia circa il corso apocatastatico del cosmo?

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Ecco pertanto ciò che solamente, nell’Oggi, può conferire pienezza autentica all’agire dell’Esserci: dare battaglia a tutto quanto appare consentaneo alla configurazione dell’essere tardo-faustiano, principiando da ogni fenomeno ed epifenomeno suo, ebbene, certamente ed elettivamente, dal Potere del nostro Tempo e dal kohèn gadòl proprio.

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